Chiedendo al vicinato cosa fosse il Parco prima di essere il Parco, i più grandi hanno raccontato di giochi e fughe nella proprietà dei Cerillo, un versante di collina dove guardare il mare, rincorrersi e scappare se scoperti.
I più giovani invece sembrano non avere ricordi. Mimetizzato nell’incuria generale, prima di essere semplicemente non era, avendo nel destino di essere un orto botanico che forse mai avrebbe visto la sua apertura.
Nel 2015, con l’intervento di quattro associazioni per il recupero, il “Parco Cerillo” diventa un bene pienamente restituito alla comunità e con il lavoro incessante della cooperativa sociale “Tre Foglie” continua a vivere come faro, mostrando un modello sostenibile di gestione della cosa pubblica.
“Si rispondeva a un bando destinato ad associazioni ed enti no-profit che richiedeva la riqualificazione di un bene abbandonato – dice Diego D’Orso – Dopo un ciclo di formazione io, Giuseppe Salomone ed Anna Carannante siamo stati selezionati riuscendo a recuperare moltissimo, e a pulire il cento per cento di un’area di 14mila metri quadrati”.
Ma tutto ha un costo e quindi arriviamo al 2017.
“Culturalmente, il bar è un punto di incontro – continua D’Orso – e ci sembrava giusto creare un luogo che si unisse al movimento culturale generato dalla biblioteca e che ci aiutasse a sostenere il progetto.Però se da una parte aiuta a gestire le spese, dall’altra restiamo una cooperativa sociale di tipo B, e non vogliamo essere incastrati nella definizione di bar. Non abbiamo l’attività commerciale come obbiettivo, ma il reinserimento lavorativo cercando di pareggiare i conti”.
Tra gli aranci, le amache e le sedute fatte con oggetti di recupero, il luogo strizza l’occhio all’ecologia e alla cultura del riutilizzo, facendo da cornice ai mercatini biologici e dell’usato in cui è possibile imbattersi, oltre che a numerose iniziative con le scuole.
Altrettanto avviene nel palazzo ottocentesco (che ospita la biblioteca comunale) con incontri di lettura e presentazioni di libri, facendo dell’Agrobar e della parte bassa del parco, un polo culturale che con il ricco calendario di eventi è diventato ben presto anche un luogo di intrattenimento alternativo alla movida della musica elettronica.
Insieme a tutto questo, la creazione degli orti sociali, le rilassanti attività all’aperto ed un’intera area dedicata ai più piccoli, offrono l’opportunità di stringere legami con il posto e con chi lo vive, trovando nell’aggregazione quindi la linfa vitale dalla quale attingere.
Conclude D’Orso: “Mentre sistemiamo gli appezzamenti di terra, riceviamo già richieste per gli orti condivisi e contiamo di riceverne ancora. Daremo 50 metri quadrati di terra liberamente, utile per il sostentamento di una famiglia composta da quattro persone, che può portare le persone a parlarsi e perché no, a costituire mercatini e comitati per promuovere l’agricoltura sana e i suoi prodotti”.
E’ un esperimento che vive di aggregazione, per di più intergenerazionale.
E’ un’anomalia poiché non rincorre il profitto, ma la partecipazione e la cura da parte di tutti, mettendo al primo posto il rispetto per l’ambiente e la salvaguardia di un bene pubblico.
Un polmone verde laddove l’aria di mare sembra diventare sempre più inaccessibile.
Adesso i più grandi potranno rivedersi giocare su quel versante grazie ai bambini che la animano.
E i più giovani, che hanno conosciuto solo un terreno incolto, ora non possono più immaginare quel posto diverso da com’è.
Un oasi di ambiente e cultura, un luogo di pace in mezzo a giorni frenetici e una storia che parla di amore per la propria terra.