In un articolo apparso sulla rivista letteraria The Paris Review e pubblicato sul numero 1586 de L’internazionale con il titolo CONTRO LA RILETTURA, lo scrittore/giornalista australiano Oscar Schwartz sostiene che la rilettura di un romanzo è secondaria in quanto nell’esperienza iniziale c’erano un’immediatezza, un’intensità, una resa totale che non potevano mai essere replicate e che a volte, al secondo passaggio, erano perfino sminuite.
A sostegno di questa sua convinzione l’autore cita Freud: in Al di là del principio di piacere ipotizza che la fissazione dei bambini per la rilettura derivi dalla convinzione infantile che le esperienze piacevoli possano essere ripetute senza dispersioni.
In virtù di questa teoria un adulto che ama rileggere un romanzo, la cui prima lettura gli procurò un piacere immenso, è convinto che rileggendolo possa rivivere le stesse emozioni che provò la prima volta che lo lesse, tradendo in questo modo la propria natura infantile.
Come contraddittorio a questa teoria l’autore cita Nabakov: nelle sue Lezioni di letteratura, diceva che “un buon lettore, un lettore importante, un lettore attivo e creativo, è un rilettore”. Oppure il linguista e semiologo francese Roland Barthes: sostiene che rileggere è necessario se vogliamo realizzare il vero scopo della letteratura che, a suo modo di vedere, è rendere il lettore “non più un consumatore, ma un produttore del testo”.
Vi è, però, un aspetto che l’autore sembra non considerare per niente: crescendo, ognuno di noi cambia, non solo esteriormente ma anche interiormente. Per cui non si può escludere che col passare degli anni possa maturare un’opinione controversa rispetto a quanto sosteneva e pensava in passato.
Personalmente, a distanza di anni, mi è capitato di rileggere più di un romanzo. E ogni volta che lo rileggevo vi trovavo sempre degli aspetti nuovi, che non avevo colto nelle precedenti letture. Credo che ciò dipendesse dal fatto che l’interpretazione di un romanzo non è solo frutto dell’attenzione con cui lo si legge ma anche dello stato d’animo in cui ci si trova mentre si legge, nonché delle esperienze e conoscenze acquisite nel corso degli anni.
Ci sono stati, ad esempio, romanzi che avevo letto da ragazzo e che non mi erano per niente piaciuti. Rileggendoli in età adulta, li ho particolarmente apprezzati. Anche perché, nel frattempo, avevo fatto le mie esperienze di vita e mi ero approcciato alle tematiche che affrontavano. Per cui, non avendo all’epoca della prima lettura le basi per comprenderli e giudicarli, li avevo liquidati con un pretestuoso e presuntuoso “non mi piace”.
Viceversa, a distanza di anni, mi è capitato di rileggere romanzi che da ragazzo mi avevano entusiasmato che invece mi sono apparsi insignificanti, scialbi, privi di sostanza. Anche in questo caso credo che la discordanza di giudizi tra passato e presente fosse frutto di una crescita interiore conseguente al vissuto e allo studio intrapreso durante gli anni.
In conseguenza di ciò sono propenso a sostenere che la rilettura di un romanzo – non solo dei grandi romanzi ma di qualsiasi romanzo in quanto ogni romanzo ha qualcosa da dire e sta alla capacità di ascolto del lettore di coglierne e interpretarne il senso racchiuso – non è solo fondamentale per comprenderlo e apprezzarlo, ma è anche una sorta di cartina di tornasole per imparare a conoscere se stessi, a capire quanto e in che modo siamo cresciuti e migliorati come individui.
Del resto non è improbabile che il motivo reale, seppure inconscio, che ci spinge a rileggere un romanzo non è solo il bisogno di nutrirci dell’illusione che, riprovando durante la lettura le stesse emozioni che provammo quando lo leggemmo la prima volta, fermassimo il tempo a quell’età felice, ponendo di fatto un freno all’approssimarsi della vecchiaia e della morte.
Senza saperlo, attraverso la rilettura ci misuriamo con il passato per valutare se e quanto siamo cresciuti come persone; se siamo migliorati o peggiorati rispetto a ciò che eravamo; se siamo diventati effettivamente adulti o siamo rimasti bambini.
Ma in quest’ultimo caso non lo sapremmo mai perché una delle caratteristiche delle persone immature è l’assoluta mancanza di autocritica, l’incapacità di guardarsi allo specchio e ammettere a se stesse i propri difetti ed errori, la tendenza di rispedire al mittente le critiche che gli vengono rivolte invece di fermarsi a riflettere se quelle stesse critiche hanno un fondamento reale.
Oltre all’evasione, un altro motivo per cui si legge un romanzo è la ricerca in esso di risposte. Quali? Probabilmente proprio se siamo cresciuti e migliorati come individui, oppure siamo rimasti quelli di un tempo.
Se, rileggendolo, proviamo le stesse emozioni che provammo la prima volta che lo leggemmo, forse sarebbe il caso di porci la domanda, “sono maturato o no?”