Il ventre materno è il primo habitat, la culla in cui nuotiamo fin dai primi giorni, un luogo immerso nel buio da cui impariamo a riconoscere suoni, movimenti, sensazioni.
Al suo interno le donne custodiscono la straordinaria capacità di interpretare un ruolo fondamentale per la riproduzione della specie umana. Eppure da qualche tempo immemore la violenza fisica tenta di estirpare la meravigliosa virtù femminile, umiliandone la sacralità, scaricando su loro le frustrazioni, o meglio l’incapacità di possedere il nido dal quale ogni uomo ha bisogno per nascere.
La storia di questo romanzo parte proprio da un tentato stupro, vittima un’adolescente Francesca, che in prima persona racconta la sua amicizia con la “Malnata”, una ragazza misteriosa, emarginata dalla comunità che vive nei pressi delle rive del fiume Lambro.
Beatrice Salvioni scalfisce con un linguaggio crudo, lo scudo di finto perbenismo che permea le parole e le gesta dei protagonisti di questa storia, in cui i profili delle due giovani, segnano uno spartiacque nel mondo sbiadito in cui le donne vivono. Entrambe rivoluzionano le secolari abitudini, per costruire le basi necessarie in vista dei cambiamenti che permetteranno alle donne, di non essere un semplice contenitore da ingravidare, ma persone.
L’odore della terra, la fisica emotività espressa dalle due protagoniste, la sconsiderata voglia di vitalità, costituiscono l’humus primario di un orgoglio rinnovato. Un pizzico di stregoneria converte la vicenda narrata, in un racconto dal sapore antico, dove la magia dell’ignoto si fonde con la premonizione, evocando i poteri occulti delle tenebre, che alla resa dei conti inghiottiranno i malvagi, permettendo alle ragazze di riemergere dal fango e seguitare a vivere.
In un passato prossimo fatto di luci e ombre, Francesca e la Malnata, sperimentano l’avventura, divincolandosi dalle strette funi di un’educazione che stringe i nodi del libero arbitrio, concedendo solo pochi centimetri cubi di respiro.