Il 25 febbraio 1873 nasceva a Napoli Enrico Caruso, in via Santi Giovanni e Paolo, n. 7, nel quartiere popolare detto di San Giovanniello, tra Piazza Ottocalli e Piazza Carlo III.
Iniziò a lavorare all’età di dieci anni come il padre in una fonderia di Napoli, così si iscrisse ad una scuola serale per continuare, in qualche modo, gli studi.
Durante gli studi scoprì di essere bravo nel disegno, soprattutto nell’esecuzione di caricature. Famose sono le sue caricature di Toscanini, di Marconi e quella di se stesso.
Oltre al lavoro di operaio meccanico, Enrico esercitava anche quello di disegnatore, alle dipendenze di vari datori di lavoro.
Mentre lavorava amava cantare per rallegrare i compagni, e così fu subito chiaro a tutti quelli che lo ascoltavano che egli possedeva una voce che lo avrebbe condotto verso un’attività diversa: quella di cantante.
Cominciò a cantare nel coro dell’oratorio di Padre Giuseppe Bronzetti, nelle stazioni balneari, durante i concerti tenuti per festeggiamenti vari (serenate per innamorate, feste danzanti, onomastici,…).
Inizialmente cantava con voce spontanea tra quella del tenore e quella del baritono, senza una tecnica, così decise di prendere lezioni di musica e studiò con il maestro Guglielmo Vergine di Napoli.
Enrico non aveva sufficienti risorse economiche per pagare le lezioni del maestro Vergine così si accordò per versargli il 25% degli incassi delle recite che avrebbe tenute nei successivi cinque anni.
Purtroppo fu un errore perché il maestro, per guadagnare, lo introdusse troppo presto nel mondo della lirica, nella qualità di tenore. Così Enrico subì la mortificazione di gravi insuccessi, in alcuni teatri di Napoli, specialmente al S. Carlo.
Compreso l’errore Enrico continuò a studiare con maggiore impegno questa volta sotto la guida del maestro Vincenzo Lombardi.
La sua vera carriera di cantante iniziò nel 1895 a Napoli in opere liriche molto popolari: il Faust, la Cavalleria rusticana, il Rigoletto, La Traviata, la Gioconda.
Dal 1897 iniziò a cantare in altri importanti teatri italiani, tra cui anche al Teatro lirico di Milano, dove, nel 1898, si esibì per la prima assoluta di Fedora.
Nel 1899 Caruso andò a cantare in America del Sud, a Buenos Aires, e in Russia nel 1899 a San Pietroburgo.
Nel 1900 cantò nella Bohème di Puccini diretta dal maestro Arturo Toscanini alla Scala di Milano.
Purtroppo, proprio nella sua città natale, al S. Carlo di Napoli, ebbe un insuccesso cantando nella rappresentazione dell’Elisir d’Amore. Non fu compreso proprio nella sua città natale!
La delusione fu tale che egli giurò che non avrebbe più cantato a Napoli e si trasferì, nel 1903, negli Stati Uniti, a New York.
Dal 1903 al 1920 cantò al Metropolitan di New York, con grandissimo successo per ben 607 volte in 37 opere diverse e in 18 stagioni liriche, debuttando nel 1903 nel Rigoletto di G. Verdi.
Rimase a New York per circa venti anni, fino ad un anno prima della morte.
Fece conoscere all’estero molte canzoni napoletane (Torna a Surriento, Maria Marì, Marechiaro, O sole mio) e alcune canzoni nuove (A vucchella, Pecchè?, Core ‘ngrato, Mamma mia che vò sapè).
Di alcune opere liriche Caruso cantò alla prima assoluta: Adriana Lecouvreur, Fedora, La Fanciulla del West.
I suoi capolavori furono le opere: Pagliacci, L’Elisir d’amore, Aida, Carmen.
Pur non cantando più a Napoli, come aveva giurato, vi ritornava spesso per la nostalgia del suo Paese e della sua città natale.
Nel dicembre 1920, a causa di un ascesso polmonare che gli procurava molte sofferenze, fu costretto ad abbandonare il canto.
Nel giugno del 1921, si trasferì in Italia, a Sorrento, ma quì si aggravò e fu trasportato a Napoli, in una stanza dell’Hotel Vesuvio, per cercare di salvarlo.
Fu tutto inutile. La mattina del 2 agosto 1921, a 48 anni, morì nella stanza dell’Hotel, in quella stessa Napoli in cui era nato.
Fu seppellito, sempre a Napoli, secondo la sua estrema volontà, in una cappella del Cimitero del Pianto, alla Doganella.
Il giorno 8 giugno 1996, Napoli gli ha intitolato l’Istituto Tecnico Commerciale, in via Arenaccia, 246, ossia nel quartiere dove era nato.
Lucio Dalla nel 1986 incise la canzone Caruso dedicata al musicista.
Il ritornello deve molto a Dicitencello vuje, composta nel 1930, sia per il testo, che ha chiari riferimenti citazionistici alla canzone napoletana, sia per la musica.
In un’intervista, Dalla ha rivelato come nasce la canzone e il significato del testo.
In seguito a un guasto alla propria imbarcazione, il cantautore si trovò costretto a soggiornare in un albergo a Sorrento, proprio nella stanza che anni prima aveva ospitato il tenore Enrico Caruso, poco prima della morte.
I proprietari dell’albergo gli raccontarono degli ultimi giorni della vita del tenore e della sua passione per una giovane a cui dava lezioni di canto.
Da quei racconti Lucio Dalla trasse ispirazione per scrivere il brano.
In un’intervista del 2008 nel programma TV Le invasioni barbariche, Dalla ha dichiarato che fu Angelo, barista che lavorava in un bar di Sorrento, a raccontargli di come sua zia fosse stata la cameriera di Caruso.
Si parla da tempo dell’istituzione, a Napoli, di un Museo Carusiano e di un Museo della canzone Napoletana, ma per ora nulla è stato fatto.
Il 25 febbraio 2012 per il 139º anniversario della nascita di Enrico Caruso, è stato inaugurato il Museo Carusiano, dedicato al grande tenore italiano situato nella villa Caruso di Bellosguardo a Lastra a Signa in provincia di Firenze, che raccoglie cimeli ed oggetti quotidiani appartenuti a Caruso.
Villa Caruso fu acquistata da Enrico Caruso nel 1906 conquistato dalla bellezza e dalla pace che nella sua nuova residenza poteva trovare, la fece restaurare arricchendola con numerose opere d’arte.
Il museo comprende foto, scritti, oggetti personali, costumi di scena donati dal Centro studi carusiani, una raccolta di dischi incisi dal cantante donati da un collezionista newyorkese, ma anche un percorso interattivo con la possibilità di ascoltare la voce di Caruso visualizzando con un sistema touch-screen i luoghi toccati dalle sue tournée.
La villa è stata acquistata dal comune di Lastra a Signa nel 1995 e il museo è gestito dall’Associazione Villa Caruso per conto del comune di Lastra a Signa.
Napoli dimentica o non ama ricordare!