Il racconto che segue trae spunto da un episodio veramente accaduto molti anni fa in un paese dell’entroterra campano. Il protagonista, ribattezzato dagli amici “il cavaliere” per i suoi modi distinti, purtroppo non c’è più, resta la sua indimenticabile simpatia.
Asciugandosi con il fazzolettino la fronte imperlata di sudore, la cartella di finta pelle stretta sotto braccio, l’uomo scorse attentamente i cognomi degli inquilini sulle targhette del citofono. Individuato quello che cercava, stringendo tra le dita il kleenex, pigiò il pulsante.
“Chi è?” risuonò la voce di donna.
“Sono l’esattore comunale, cerco il sig. …?”
Il cancello si aprì automaticamente.
Mentre si accingeva ad entrare nell’atrio, l’ufficiale giudiziario tornò sui suoi passi e risuonò al citofono.
“Sì?” chiese nuovamente la voce di donna.
“Che piano?”
“Terzo!”
L’ascensore era guasta da una vita, fu costretto a salire a piedi. Affannando per le rampe, fermandosi a ogni pianerottolo per riprendere fiato, l’uomo si domandava perché chi aveva progettato quei prefabbricati avesse ideato delle scale così erte quasi avesse voluto punire coloro che vi abitavano più di quanto la vita non avesse già fatto costringendo loro, dopo il terremoto dell’ottanta, a trasferirsi alle falde del Vesuvio, un paradosso senza precedenti.
Giunto al terzo piano, cercò sulle due porte che si aprivano sul pianerottolo il nome che cercava. All’improvviso una porta si aprì, segno che stavano origliando il suo arrivo. Sotto l’uscio apparve un uomo basso che lo salutò cordialmente. Indossava pantaloncini e canottiera a righe gonfiata sul davanti dalla leggera pancetta; il viso tondo e sorridente era sovrastato dalla rada capigliatura col riporto per celare l’incipiente calvizie.
“Buongiorno!” salutò con aria affabile.
“Buongiorno. Siete voi il signor …?” domandò l’esattore leggendo il nome sul foglio poggiato sul dorso della cartella.
“Detto il Cavaliere” annuì il padrone di casa. “In cosa posso esservi utile?” fece spostandosi di lato per farlo accomodare.
“Signor…”
“Chiamatemi pure cavaliere, così mi chiamano gli amici”.
“Cavaliere” riprese l’uomo con aria formale per dare peso alle parole, “dagli archivi dell’esattoria risulta che lei deve al Comune oltre cinquecentomilalire di arretrati per l’acqua. Ho qui con me un mandato di sequestro di beni, nel caso lei non pagasse!” Aprì la cartelletta, prese un foglio azzurrato e lo mostrò all’uomo che lo lesse con attenzione.
“Egregio signore” disse il cavaliere dopo aver letto, ripiegando il foglio in due per restituirglielo, “lei è un uomo fortunato!”
“A sì? E perché?”
“Oggi mi sento buono e sono deciso a saldare il mio debito con la società”
“Meno male!” sospirò l’ufficiale sgravandosi di un peso. Rasserenato entrò in casa. Aveva sempre sognato un giorno come quello. Ovunque si recasse per espletare le proprie funzioni, era sempre accolto in malo modo, a volte addirittura malmenato.
“Accomodiamoci nel soggiorno” suggerì il Cavaliere con un ampio sorriso, facendo strada. “Le va un caffè?” domandò precedendolo nell’ampio disimpegno dove, a ridosso della finestra che affacciava sul Vesuvio, c’erano un tavolo e quattro sedie.
“Un caffè o gradite qualche altra cosa?” domandò il cavaliere accomodandosi.
“Un caffè va benissimo!” rispose l’ufficiale, sedendosi. Appoggiò la cartella sul tavolo, l’aprì e tirò fuori un consistente fascicolo.
“Amore due caffè come sai farli tu” fece il Cavaliere alla moglie che con aria allibita osservava la scena.
“Allora quanto avete detto che vi devo?” domandò con tono responsabile, tornando a rivolgere la propria attenzione all’esattore.
“Poco più di cinquecentomilalire.”
“E no!” protestò il Cavaliere corrugando la fronte, “siate preciso perché con i soldi non si scherza. Allora, quanto vi devo?”
“Veramente i soldi li dovete al Comune, non a me…” specificò l’ufficiale aprendo una tasca della cartella per prendere la calcolatrice.
“Voi in questo momento per me rappresentate il Comune!” disse il Cavaliere, fissando l’esattore fare i conti.
“Ecco il caffè!” fece il padrone di casa. Afferrò tra le mani il vassoio recato dalla moglie e lo appoggiò sul tavolo. “Quanto zucchero?”
“Lo prendo amaro, grazie!” rispose l’ufficiale sorprendendosi della velocità con cui il caffè era pronto. Era evidente che si trattava di una montatura per addolcirlo messa a punto non appena aveva suonato al citofono.
“Soffrite di diabete!” affermò il cavaliere versando il caffè dalla moka nella tazzina.
L’esattore, offeso, si rizzò sulla sedia osservandolo versare il caffè:
“Per niente!”
“Allora, quanto vi devo?” chiese il Cavaliere portandosi la tazza fumante alle labbra.
L’ufficiale controllò un’ultima volta i conti.
“Sono esattamente cinquecentosettantamilatrecentolire, incluse le tasse di mora!” disse levando lo sguardo sul suo interlocutore che serenamente sorbiva il caffè.
“Bene” fece il Cavaliere. Poggiò la tazza sul tavolo e si alzò dalla sedia. “Un attimo solo che vado a prendere i soldi!”
Sconcertata, la moglie lo fissò uscire dalla stanza e andare in camera da letto. Preoccupata si domandava cosa stesse architettando visto che, a stento, avevano pochi spiccioli per la spesa.
“Certo che vostro marito è un signore!” fece l’esattore, bevendo il caffè “Fosse sempre così, questo mestiere sarebbe il più bello del mondo” sospirò.
“E sì!” mormorò la donna. Sbiancò in viso osservando il coniuge rientrare sorridente nel soggiorno. Nella mano agitava un foglio di carta oblungo a lei ben noto.
Il Cavaliere tornò a sedersi.
“Allora, egregio signore, quanto avete detto che vi devo?”
“Cinquecentosettantamilatrecentolire” rispose poco convinto, fissando il foglio tra le dita dell’uomo.
“Bene. Questa è una cambiale di settecentocinquantamila lire” disse il Cavaliere. “Se la matematica non è un’opinione, dovete voi a me centosettantanovemilatrecento lire e siamo pace!”
Con mano tremante, l’esattore si impossessò della cambiale e la guardò girandola e rigirandola tra le dita.
“Questa cambiale è pure scaduta!” esplose masticando la rabbia tra i denti mentre il sangue gli montava alla testa.
“Scaduta? Uh, mannaggia ‘a morte, e mò? Al momento non ho cantante in casa. Non potete ripassare tra qualche mese?” disse desolato il Cavaliere.
“Basta!” urlò l’esattore scattando dalla sedia. Con una manata mandò per aria le carte dal tavolo. “Così non si può lavorare!”
“Calmatevi che ci avete il diabete!” fece il Cavaliere con aria preoccupata! “Potrebbe venirvi un colpo!”
***
Man mano che l’esattore scendeva le scale del prefabbricato, la rabbia che gli segnava il viso lasciò il posto all’allegria. Ripensando a quanto era successo, ridendo con le lacrime agli occhi, uscì dal palazzo e raggiunse l’auto. Non appena fu al Comune, si recò dal Sindaco per narrargli l’episodio. Udendo l’aneddoto, il sindaco e i suoi collaboratori risero anche loro. Così come rise il dirigente amministrativo quando fu messo al corrente dell’accaduto. All’unanimità si stabilì che la quota che il Cavaliere doveva al Comune fosse dilazionata in tante piccole rate per consentirgli di sdebitarsi senza difficoltà.
Fu quello un modo elegante per ripagare la simpatica inventiva dell’uomo.
FINE