Ad Ovest di Monte S. Angelo, si protende in mare un promontorio, spoglio e soggetto a frequenti frane, a strapiombo sulla Baia di Sorgeto, famosa per le sorgenti termali, dove acquea caldissime si mescolano a quelle del mare: Punta Chiarito.
Inaccessibile ai non addetti ai lavori, in questa area si trova un sito archeologico posto ad una quota alquanto inferiore a quella media del promontorio (circa 50 m. sul livello del mare).
Gli scavi
Nel 1988 due vigili urbani del Comune di Forio, incaricati di verificare la situazione di dissesto idrogeologico dopo un nubifragio, recuperarono alcuni frammenti di anfore grezze.
Così, nell’ottobre 1992, la Soprintendenza Archeologica di Napoli e Caserta iniziò una campagna di scavi durata circa due anni.
Nel ’96 nel Museo Archeologico Nazionale di Napoli fu presentata al pubblico una esposizione dei materiali rinvenuti alla quale fece seguito nel dicembre ’97 l’allestimento delle sale dedicate a Pithecusae (124 e 125) al primo piano dello stesso edificio.
Infine, nel ’99 quattro reperti provenienti dal Chiarito furono collocati nella sala VI del Museo Archeologico di Pithecusae a Lacco Ameno (Ischia).
Una pagina straordinaria della storia d’Ischia
Il carattere eccezionale del sito di Punta Chiarito è costituito dal fatto che in seguito ad un’eruzione vulcanica, avvenuta nel VII sec. a. C. o poco dopo, una colata di fango dello spessore di almeno tre metri aveva sepolto un primo insediamento risalente al 750-730 a.C. preservando dalla rovina del tempo una straordinaria pagina della storia d’Ischia.
Come Nola, Croce del Papa (Bronzo Antico) prima e Pompei ed Ercolano in seguito una catastrofe naturale ha sigillato un insediamento in piena attività.
Nulla si sa circa gli abitanti dell’insediamento, se siano stati travolti dalla valanga di fango o se siano riusciti a fuggire in mare, perché finora gli scavi non hanno restituito resti umani.
Materiali rinvenuti, la dispensa, gli strumenti da lavoro, il vasellame d’uso comune
L’interno della capanna era diviso in due ambienti da un tramezzo: un ambiente più ampio era ingombro di contenitori per derrate alimentari e ceramiche per uso domestico e l’altro era un ambiente absidato dove si trovava il focolare, sul quale giacevano carboncini e moltissimi gusci di patelle.
Sul piano del focolare si trovavano anche una piccola pentola, una lucerna e un oggetto (forse un crogiolo) esposto nel Museo Archeologico Nazionale di Napoli.
A terra sono stati trovati rinvenuti numerosi attrezzi da lavoro: ami da pesca in bronzo di varie dimensioni, piombi per reti ed arnesi in ferro (un’accetta, una doppia ascia a tagli ortogonali, una lama ricurva a un solo taglio), una punta di lancia, una roncola, un falcetto, due uncini, un coltello, un grosso chiodo e una pinza per carbone), alcuni pesi piramidali in argilla cruda e altri pesi circolari in pietra.
È stata ritrovata anche una lucerna d’argilla triangolare a tre luci e una borraccia in ceramica non depurata.
Accostati al muro dell’abside c’erano un recipiente per liquidi (olla stamnoide di fattura locale) e un fornello portatile.
Contenitori per provviste solide e liquide, alcuni dei quali interrati e di grandi dimensioni, sono in parte di fabbricazione locale, in parte d’importazione.
Nella ricostruzione della capanna esposta nel Museo Archeologico Nazionale di Napoli se ne contano ben 18.
Non si sa se sono state fatte analisi sul loro contenuto, ma probabilmente si trattava di «olio importato dall’Attica», «vino, olio, cereali, legumi, pesce salato, sale e, naturalmente, acqua».
Potrebbero aver contenuto anche le provviste meno deperibili che erano alla base dell’alimentazione dei greci nell’antichità: pesce marinato, pesce essiccato e salsa di pesce, miele, olive e prodotti caseari, forse resine vegetali.
La maggior parte della ceramica rinvenuta erano oggetti da tavola e da cucina di fabbricazione locale e d’uso comune.
Nel tempo sono state avanzate varie ipotesi sugli abitanti del villaggio di Punta Chiarito.
Ma, analizzando i materiali ritrovati, l’ipotesi più accreditata e che fossero pescatori, sia di pesci che viaggiano in branco ma anche grandi pesci, come tonni, pesci-spada, che rivendevano alle navi di passaggio, barattandoli con oggetti (ceramiche, metalli, corno) di corrispondente valore.
La capanna era il laboratorio/magazzino di pescatori, uno scalo per il rifornimento delle navi dirette verso il Medio e Alto Tirreno o il Mediterraneo Occidentale.
I naviganti sostavano per rifornirsi di acqua potabile e di vivande, per rifocillarsi.
I materiali d’importazione sono la testimonianza del passaggio di naviganti d’origine ionica, forse focesi.
Bibliografia
Stefano De Caro e Costanza Gialanella, Novità pitecusane. L’insediamento di Punta Chiarito a Forio d’Ischia, in L’Eubea e la presenza euboica in Calcidica e in Occidente, Bruno D’Agostino et Michel Bats (dir.), p. 337-353 https://books.openedition.org/pcjb/671