C’era un tempo in cui a Napoli il protagonista assoluto del teatro popolare era Pulcinella. Maschera con una storia millenaria e ininterrotta fino alla morte degli ultimi, e grandi, interpreti della commedia dell’arte. Lucia Oreto è tra le attrici a mantenere viva la memoria di questa tradizione a Napoli. Per oltre tre decenni ha fatto parte del Trio San Carlino, la compagnia teatrale con Antonio Sigillo e Pasquale Esposito, considerati gli ultimi attori di una scuola unica al mondo.
Intervista all’attrice Lucia Oreto
Quando ha iniziato la sua carriera artistica?
All’età di 18 anni, dopo una delusione d’amore… le prime esperienze le ho avute con il teatro amatoriale. Ricordo il primo spettacolo è stato “Il ramoscello d’olivo”, un’opera di Peppino De Filippo. All’esordio tremavo…
Ma il suo percorso è caratterizzato dall’incontro con due artisti…
Si tratta di due personaggi che portavano avanti l’antica tradizione dello spettacolo in maschera. Pasquale Esposito era perfetto per interpretare la parte di don Anselmo Tartaglia. E Antonio Sigillo era Pulcinella, l’ultimo Pulcinella classico dopo Gianni Crosio. Tuttavia per esigenze di copione assumevano più ruoli nello stesso spettacolo. Erano dei professionisti. Attori che avevano appreso l’arte sulle tavole del palcoscenico direttamente dai maestri del passato. Ultimi di una storia secolare di cui possiamo ricordare, tra tanti , Antonio Petito e Giuseppe Pica, il padre di Tina. Esposito e Sigillo hanno fatto anche cinema. Antonio Sigillo ha recitato in un film con Troisi. Ma è famoso come protagonista nell’episodio della “signora Rinascente” nel film “Così parlò Bellavista” di Luciano De Crescenzo. Inoltre ha avuto ruoli anche nel film “Le Quattro Giornate di Napoli” di Nanni Loy e in “Operazione San Gennaro”.
Questi due attori erano legati ai loro personaggi. Il suo invece era quello di Colombina…
Culumbrina, che nel teatro è la moglie di Pulcinella. Ho iniziato a fare teatro con loro perché avevano bisogno di una interprete giovane. Io avevo venti anni. Colombina è ispirata a Mirandolina, il personaggio principale de “La Locandiera” di Carlo Goldoni. Una donna civettuola, sensuale. Nelle nostre rappresentazioni Culumbrina era quella che riusciva a mettere ordine nelle malefatte di Pulcinella.
E con loro nasce il Trio San Carlino, parte della storia teatrale di Napoli…
Il nome è quello del teatro popolare napoletano, il san Carlino, appunto. Si trovava nell’attuale piazza Municipio. L’aristocrazia e perfino il re, dopo le prime al San Carlo, venivano in questo teatro per divertirsi.
Quando è finita l’esperienza del Trio San Carlino?
Si, ormai è finito tutto. Nel ’98 è morto Sigillo, nel ’99 Pasquale Esposito. Per me la tradizione si è interrotta con loro… molti ci hanno provato, ma è difficile.
Cosa le hanno insegnato Esposito e Sigillo?
Mi hanno insegnato tantissimo: la scena, la disciplina, l’umiltà. Tutto questo è importante per il teatro come ci ha insegnato anche il grande Eduardo. Oggi è un disastro. Manca tutto, soprattutto il rispetto. La nostra arte non ha l’importanza che aveva fino agli anni ’70. All’arte teatrale si accede con umiltà. Ora tutti sono attori e tutti hanno associazioni a sostenerli…
Dopo l’esperienza del San Carlino, quali sono state i suoi impegni?
Ho fatto cinema, ho recitato in “Io speriamo che me la cavo” di Lina Wertmuller. Una sera la regista venne ad un nostro spettacolo e ci conoscemmo. Faccio ancora televisione per delle emittenti locali e poi spettacoli di teatro. L’intenzione è di mantenere viva la tradizione. Ho anche tradotto i nostri sketch in inglese.
Lei ha questa esperienza ha dedicato un libro…
Ho pubblicato “Il Trio Sancarlino” con l’Istituto Grafico Editoriale Italiano. Ho fondato una scuola di teatro che in questa fase è ospitata nella Casa della Cultura a Pianura. Voglio insegnare ai giovani quello che è stata la commedia dell’arte.