“antiquam exquirite matrem. Hic domus Aeneae cunctis dominabitur oris et nati natorum et qui nascentur ab illis“. Virgilio, Eneide, III, 96.
Questo primo articolo mi da l’occasione di scrivere alcune brevi note su di un aspetto rimasto a lungo in ombra negli studi antropologici e religiosi dei Campi Flegrei, lo sciamanesimo ctonio riferito questa volta al VI canto dell’Eneide di Virgilio. Note che anticipano per l’occasione un più vasto studio sull’argomento che mi accingo con cura più attenta e spero felice appena possibile entro l’anno corrente, insieme con un altro caposaldo della ritualità religiosa sempre nei Campi flegrei, ma questa volta riferita ad capitolo altrettanto forte dell’identità flegrea, il versamento del sangue di san Gennaro presso la solfatara di Pozzuoli.
Tappe non casuali di una religiosità forte e che per diverse vie (pregreche-anatoliche l’uno, protoscristiane l’altro) collega la storia di Napoli alla più ampia partecipazione religiosa dei luoghi di culto a carattere epifanico e di antica testimonianza di fede popolare. Dunque è con felice intuizione che il Dodds, alla fine degli anni cinquanta del secolo scorso nella sua opera fondamentale I Greci e l’irrazionale, aprendo una via non facile dentro gli studi di filosofia e filosofia religiosa greca, vide con chiarezza che la religione dei Greci era una esperienza di un pensiero residuo dell’irrazionalismo greco, riferendolo chiaramente ad una parola che correva esplicitamente negli studi di antropologia religiosa di quegli anni (Mircea Eliade,De Martino, Levi Strauss), lo sciamanesimo: «Platone operò nella tradizione del razionalismo greco un fecondo innesto di idee magico-religiose che hanno remota origine nella civiltà sciamanistica settentrionale» (p. 261).
Ma come mai Platone riversò tali idee nel razionalismo politico greco, nella ormai conclamata rivoluzione della polis e delle sue Leggi?E inoltre, definire la religione dei Greci “sciamanica” è un arbitrio e cosa c’entrano in questo caso i Campi flegrei?Tutte e tre le questioni sono connesse, sono connesse a quello spartiacque che proprio l’allievo più noto di Platone, Aristotele, operò tra la filosofia dell’epistème e l’antica teologia, il pensiero pre-socratico. Lo spartiacque tra la logica, la fisica e la metafisica che separò definitivamente nel pensiero greco, all’alba della trasformazione politica delle città-stato greche, non era nel pensiero antico greco così netta.
Nel pensiero mitopoietico di Omero e di Esiodo, della filosofa antica e nel pensiero tragico dei Tragediografi Greci (Eschilo, Euripe,Sofocle), l’aspetto di narrazione mitica, il mitologema, era l’aspetto prevalente. Platone è ancora un testimone, per certi versi, di questo trapasso, di questa veneranda antica filosofia e del pensiero mitico-religioso in numerosi Dialoghi; in particolare riversa nel Fedone, nel Gorgia e nel Timeo, il retaggio di culture magiche e religiose, cioè le culture orfiche-pitagoriche, a loro volta retaggio di una più antica cultura precivile, prepolitica e preolimpica, dell’area che grande notorietà e diffusione avevano in Greca, in Magna Grecia e come vedremo erano culturalmente prevalenti nei Campi Flegrei, nella città più antica dell’Occidente greco, Cuma.