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STUTATELO ‘STO TELEFONO, OVVERO “‘O PESCE FETE DA’ CAPA”.

Che il cellulare è ormai diventato un’appendice del corpo umano è cosa nota. Così com’è noto che sempre più persone non riescono a fare a meno di utilizzarlo centinaia di volte nell’arco della giornata per telefonare, scattare foto e selfie, consultare internet, interagire sui social o vedere quanti like ha ottenuto il loro ultimo post su Facebook o la loro storia su Instagram.

Questo atteggiamento, ritetuno da sociologi e psicologi, vero e proprio sintomo di una patologia mentale, deriverebbe dal bisogno che ognuno di noi ha di sentirsi protagonista nella vita: più numerosi sono i like più alta è la notorietà in rete, più ci si illude di essere importanti.

Bandire una crociata contro i telefonini, però, non significa condannarli – il telefonino è uno strumento – bensì punire chi ne fa un uso indiscriminato, a volte criminale.

Quanto è accaduto il 22 dicembre nell’aula del Senato, alla presenza del Presidente della Repubblica, durante il concerto dei Natale diretto dal maestro Riccardo Muti ha del paradossale. Non fosse altro perché si presume che chi ricopre la carica di deputato dovrebbe possedere qualità etiche/morali superiori alla massa dei cittadini che rappresenta.

Durante il concerto è iniziato a suonare un cellulare cui poco dopo se n’è aggiunto un altro costringendo il maestro a sospendere l’esibizione per invitare chi avesse il telefonino acceso a spegnerlo con una frase in napoletano che rimarrà negli annali del Senato: “Stutatelo ‘sto telefono!”.

I presenti in aula hanno riso alla battuta che in realtà era un rimprovero alla bassezza morale dei responsabili dell’increscioso episodio. Anche se non c’era certo bisogno di quest’ultima perla dei nostri parlamentari per prendere conscienza che nell’emiciclo del Parlamento italiano siedono personaggi che offendono la nazione come la cronaca dimostrerebbe.

Non dimentichiamo che in passato c’è stato chi fu sorpreso a navigare su siti di escort mentre sedeva in aula.

L’episodio induce a chiedersi con che criterio si debba pretendere che gli spettatori di un cinema, di un teatro, gli studenti in aula e chi sta lavorando non facciano uso del telefonino quando un membro del Parlamento non ha la sensibilità di spegnere il proprio durante un evento importante?

Inoltre non dimentichiamo che alcuni rappresentanti delle istituzioni utilizzano i social non solo per motivi politici ma anche per postare qualsiasi cosa facciano o mangino nell’arco della giornata per accativarsi le simpatie dell’elettorato, Salvini docet.

Concludendo, non serve prendersela con i giovani né con la gente comune se fanno un uso indiscriminato del telefonino quando chi dovrebbe dare il buon esempio si comporta peggio.

In questa nostra bistrattata società si confonde la ricchezza materiale con quella intellettuale e spirituale. Se la ricchezza di un individuo testimoniasse la sua propensione a saper fare business, non è detto che quelle stesse capacità sono adatte alla gestione del res publica. Né la sua abilità negli affari garantisce che, una volta sceso in politica, egli non sfrutti il proprio intelletto per favorire se stesso, le proprie aziende, gli amici e gli amici degli amici, fregandosene del bene comune. Esattamente quello che tuttora in tanti imputano fece Silvio Berlusconi quando decise di scendere in politica.

Al di là delle singole vicende personali, quanto è accaduto nell’emiciclo del Senato il 22 dicembre mortifica la nazione. Non siamo certo ai livelli del 24 maggio del 2010 quando la maggioranza dell’epoca votò compatta che davvero Berlusconi pensava che Ruby rubacuori fosse la nipote di Mubarak, nè si deve fare di tutta l’erba un fascio – qualche mosca bianca tra gli scranni parlamentari c’è certamente – , ma quanto è avvenuto è comunque il segnale che in Parlamento vi è, in maniera del tutto trasversale, una classe politica di basso livello etico e morale.

E’ proprio il caso di dire che ‘o pesce fete da’ capa, (il pesce inizia a puzzare dalla testa).

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Vincenzo Giarritiello
Nato a Napoli, ma da oltre vent’anni residente a Pozzuoli, Vincenzo Giarritiello alterna all’attività di scrittore quella di giornalista per passione. Nel 1997 ha pubblicato “L’ultima notte e altri racconti” e nel 1999 “La scelta”. Nel 2017 ha ristampato “La scelta” e nel 2018 ha pubblicato il romanzo breve “Signature rerum” ambientato nei Campi Flegrei. Nel 2019 ha stampato “Le mie ragazze rom scrivono” e “Raggiolo uno scorsio di paradiso in terra”. Nel 2020 ha editato la raccolta di racconti “L’uomo che realizzava i sogni”. Ha pubblicato con le Edizioni Helicon il romanzo “Il ragazzo che danzò con il mare”. Ha collaborato con le riviste online “Giornalewolf.it” e “Comunicare Senza Frontiere”; con quelle cartacee “Memo”, “Il Bollettino Flegreo”, “Napoli Più”, “La Torre”. Fino al 2008 ha coordinato laboratori di scrittura creativa per ragazzi a Pozzuoli e all’Istituto Penitenziario Minorile di Nisida. Attualmente collabora con l’associazione culturale Lux in Fabula con cui ha ideato la manifestazione “Quattro chiacchiere con l’autore”. Nel 2005 ha attivato il blog “La Voce di Kayfa” e nel 2017 “La Voce di Kayfa 2.0”. Dal 2019 è attivo il suo sito www.vincenzogiarritiello.it
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