Da quando è esploso il Pandoro gate che ha come protagonista in negativo Chiara Ferragni – l’influencer è accusata di pubblicità ingannevole al fine di arricchirsi sulle spalle di quanti avrebbero acquistato un pandoro Balocco dal costo maggiorato convinti che parte del ricavato sarebbe poi andato in beneficenza all’ospedale Regina Margherita di Milano, come lei stessa asseriva in uno spot pubblicitario, mentre in realtà la Balocco aveva già provveduto a versare un obolo di 50 mila euro nelle casse del nosocomio, per cui il restante andava nelle tasche della Ferragni – ha visto calare, si fa per dire, da oltre 30 milioni a poco più di 29 milioni il numero di followers, ossia di persone che la seguono sui social, imitandola in qualunque cosa faccia e correndo ad acquistare qualunque prodotto pubblicizzi per non sentirsi da meno.
Lo scandalo ha indotto alcune aziende che utilizzavano l’influencer come testimonial a sospendere la collaborazione. La prima è stata la Safilo Group produttrice di occhiali. A seguire la Coca-Cola; lo stesso starebbe per fare Monnalisa, noto marchio di abbigliamento per bambini. Una caduta d’immagine non da poco per la Ferragni, anche perché pare che lo stesso schema del Pandoro Balocco sarebbe stato adotatto per la vendita delle uova di Pasqua di Dolci Preziosi di cui la stessa Ferragni fu testimonial.
Se la Ferragni avesse davvero commesso un errore di comunicazione, come poi lei stessa ha sostenuto in un video di scuse diffuso sui social, non sta a noi stabilirlo: lo si appurerà nelle opportune sedi. Il vero problema, secondo me, non sono né lei né i tanti influencer che brulicano in rete, ma i loro followers che hanno bisogno di qualcuno in cui identificarsi e imitare perfino se devono lavarsi le mani (ci siamo dimenticati Barbara D’Urso all’epoca del covid?)
Nel momento in cui il caso è diventato pubblico, spesso al vocabolo influencer vi si associa ironicamente quello di deficienters per indicarne i followers, dimenticandosi che deficienters lo siamo stati e lo siamo un po’ tutti: quanti da ragazzi non erano e non sono fan di un attore, di un cantante, di una band musicale, di un calciatore, di un personaggio famoso del quale copiavano e copiano il modo di vestirsi, i comportamenti, il linguaggio, il modo di mangiare e di fumare per illudersi di essere come loro? Quanti all’epoca del sessantotto non vestivano in un certo modo solo perché tendevano a imitare quelli che erano i miti dell’epoca – Che Guevara, i Beatless, Jimi Hendrix , Bob Dylan, Brigitte Bardot, Alain Delon solo per citarne alcuni – omologandosi a loro volta in una sorta di conformismo culturale e politico.
Infatti tale omologazione era sostenuta da un’ideale che contemplava, oltre a vestirsi e comportarsi tutti in un certo modo, la lettura e la visione degli stessi libri, film, opere teatrali, e l’ascolto di canzoni socialmente impegnate – in quell’epoca nacquero molti dei cantautori tuttora in auge – da cui si traevano spunti per lunghe discussioni di gruppo che avevano come tema dove stesse andando la società e cosa si potesse fare per migliorarla.
I tempi sono cambiati. Se in passato gli ideali erano Pace, Amore e Libertà, oggi per la stragrande maggioranza delle persone, soprattutto giovani, l’unico vero ideale è apparire a ogni costo tanto che molti non si fanno alcun problema a diffondere sui social video di ogni genere ripresi con i telefonini, perfino quelli in cui si commettono atti di bullismo o violenze sugli animali, al fine di sentirsi qualcuno e veder crescere il proprio numero di followers.
In questi giorni si festeggiano i settant’anni della RAI il cui compito originario era quello di educare gli italiani a crescere culturalmente, soprattutto negli anni a ridosso del dopoguerra, proponendo programmi di alto spessore culturale e pedagogico. Un’icona della televisione dell’epoca fu Mike Buongiorno i cui quiz – Lascia o Raddoppia e Rischiatutto – diffondeva un messaggio sottointeso ma chiaro: se nella vita vuoi arricchirti devi studiare.
Con l’avvento della televisione commerciale la scena si è completamente ribaltata. Nel giro di pochi anni si è passati dai quiz dove per vincere bisogna possedere un’ottima cultura generale ed essere ferrati in una particolare materia, ai quiz dove per vincere non basta alcuna preparazione culturale ma solo una gran botta di culo!
In molti dei programmi della televisione di oggi alla qualità delle persone si predilige l’aspetto fisico, fa niente se poi si tratta di cafoni/e e di ignoranti presuntuosi/e a cui si concede il lusso della ribalta televisiva solo perché con la loro presenza, quasi spesso ridicola se non addirittura volgare, fanno audience.
Mai come ora, grazie alla moltitudine di mezzi di comunicazione, si cura l’aspetto in quanto il messaggio diffuso dai media è: nella vita conta più apparire che essere. Per cui meglio passare ore allo specchio a truccarsi o in palestra a sfiancarsi di fatica per sembrare belle/i e stare in forma anziché sacrificarsi in una stanza seduti ore intere alla scrivania per studiare al fine di diventare qualcuno.
Mi si conceda un’ultima riflessione: potremmo considerare followers anche quei milioni di persone che pendono dalle labbra di un leader politico, vedi Hitler, le quali non riflettono su quale sia il reale messaggio che egli diffonde solo perché, come qualsiasi leader politico si rispetti, sa rivolgersi alle loro pance; spingendoli allegramente verso la tragedia come fa il pifferario di Hamelin con i topi nella famosa fiaba.
Non a caso un detto napoletano recita e furbi campano sulle spalle re fessi.