L’evoluzione del bradisismo flegreo è molto seguita attraverso i media con articoli giornalistici con i bollettini dell’Osservatorio Vesuviano ed altro. Si fa riferimento principalmente agli aspetti geofisici monitorando la deformazione del suolo la sismicità la temperatura delle fumarole. Si fa anche riferimento al monitoraggio geochimico, in particolare sulle emissioni di CO2 (anidride carbonica) ritenuta utile ed in qualche modo predittiva.
Sono meno conosciuti gli aspetti sulle ricerche nella mineralogia forse più di nicchia ma che contribuiscono ad una conoscenza più approfondita dei Campi Flegrei e dei fenomeni connessi al bradisismo. Ho voluto intervistare il dott. Massimo Russo per cercare di capirne di più in materia e dare anche maggior risalto ad un settore di ricerca affascinante e ricco di sorprese.
L’intervista al dottor Massimo Russo, esperto del settore e per il quale svolge attività di ricerca presso la sede dell’INGV di Napoli (Osservatorio Vesuviano)
Inizio con una domanda generica: quali informazioni possono darci i minerali in un’area vulcanica come il distretto vulcanico partenopeo ed in particolare i Campi Flegrei? Si può sviluppare un monitoraggio interdisciplinare tra i dati geofisici e quelli del suo campo di applicazione?
“Innanzitutto tengo a precisare che quanto dirò non rappresenta in alcun modo la posizione ufficiale dell’Istituto in cui lavoro, ma si basa sulla mia esperienza pluridecennale in mineralogia. Se mi vuole dire che i minerali di ambiente fumarolico idrotermale di bassa-media temperatura come quelli dei Campi Flegrei siano utili per dare una indicazione sullo stato di attività del vulcano ti rispondo di no, secondo la mia esperienza. Se invece mi parli di vulcani in cui i fluidi siano di tipo magmatico allora il discorso cambia. Ad esempio i fluidi rilasciati dal cratere de La Fossa dell’isola di Vulcano, possono darci diverse indicazioni suffragati anche dalla geochimica dei fluidi. Studi effettuati durante l’importante crisi del 1988-1991, quando le temperature alle emergenze delle fumarole arrivarono a circa 700°C si ebbe un’importate produzione di solfosali associati ad altri minerali di alta temperatura. Dal 2006 fino alla pandemia, lo studio sistematico della mineralogia di queste ha permesso, oltre che la scoperta di 28 specie nuove al mondo, di evidenziare come questi siano degli indicatori sensibilissimi delle variazioni degli apporti di fluidi magmatici profondi. In particolare si è rivelato di grande interesse lo studio dei composti dei metalli pesanti quali piombo, bismuto e tallio. Di notevole interesse si è pure rivelato lo studio di composti alogenati (contenenti fluoro, bromo e iodio). È stata inoltre individuata l’esistenza di due distinti sistemi di alimentazione, uno che coinvolgeva principalmente le fumarole ubicate sul bordo craterico ed un secondo che riguardava le fumarole intracrateriche che tra gli elementi distintivi avevano la presenza di composti contenenti notevoli quantità di ammonio associato a metalli pesanti. A differenza di quanto osservato in precedenza, nella crisi del 2022 si è osservato la totale mancanza dei cloruri dei metalli pesanti (e di conseguenza di emissioni di acido cloridrico) che erano sempre piuttosto abbondanti nelle fumarole di bordo cratere (T=350°-395°C). L’unico cloruro presente (e anche questo in quantità modeste) è il cloruro di ammonio. Parimenti sono assenti tutti quei composti contenenti fluoro e boro che erano caratteristici del precedente periodo di crisi. Le uniche fasi mineralogiche che si formano con una certa frequenza su una fumarola del bordo (T=146°C) cratere sono alcuni solfuri e solfosali di bismuto e di piombo; mentre all’interno del cratere sono spariti completamente tutti i solfati e gli alogenuri contenenti metalli pesanti. Abbondante ovunque è invece la deposizione di zolfo che però contiene solo tracce minime di arsenico. Questo è stato confermato dalla geochimica dei fluidi gassosi che hanno evidenziavano scarsa presenza di acido cloridrico ed assenza totale di fluoro. Qui si parla comunque di sublimati le cui relazioni tra temperatura e composizione chimica dei gas sono noti da tempo. Lo studio dei minerali di Vulcano porto, invece, di chiara origine idrotermale non hanno subito in tutto questo tempo alcun tipo di variazione, analogamente a quelle dei Campi Flegrei. Allo stesso modo le fumarole del Vesuvio, fino a che era a condotto aperto, e fino agli anni ’60 del secolo scorso, mostrava differenti specie minerali a secondo della temperatura di emergenza delle fumarole. Attualmente anche il Vesuvio, in cui si è instaurato un sistema idrotermale, le cui fumarole del fondo cratere hanno temperature intorno ai 100°C, mostra analogie con i Campi Flegrei e Vulcano porto”.
Quindi, possiamo affermare che nella caldera flegrea la mineralogia, ancorché complessa, non presenta elementi predittivi ma solo di approfondimento scientifico?
“Se parliamo delle fumarole con temperature che vanno tra i 100°C o inferiori, che sono la maggioranza, possiamo solo osservare alcune piccole differenze sulla presenza, ad esempio, di halloysite o kaolinite sensibili alla variazione di ph dei fluidi. Tutto sommato poca cosa. Le due fumarole maggiori Bocca Grande e Bocca Nuova della Solfatara di Pozzuoli potrebbero darci delle informazioni maggiori, ma anche qui c’è bisogno di un record di dati significativi. È vero che mi occupo di minerali prima dalla fase bradisismica del 1982-84, ma lo studio sistematico di dettaglio è avvenuto essenzialmente dal 2006. Alcune specie trovate recentemente sono state individuate, a posteriori, in passato, ma abbiamo pochi dati per poter effettivamente dimostrare qualche cosa”.
Quali sono stati i “luoghi flegrei” dove lei ha avuto l’occasione di effettuare le sue ricerche?
“Beh, a differenza del Somma-Vesuvio che è un’area vulcanica ben delimitata, i Campi Flegrei vedono la presenza di numerosi punti di interesse mineralogico, dalle cupole laviche di Punta Marmolite, Cuma, Monte Olibano (dove fu rinvenuta la breislakite per la prima volta al mondo, poi accomunata alla vonsenite), dagli affioramenti dell’Ignimbrite Campana con il piperno di Soccavo e di Pianura (la marialite è una specie trovata li per la prima volta al mondo), dalla Breccia Museo di Torregaveta e Monte di Procida (fu rinvenuta per la prima volta al mondo la calciobetabite, poi screditata, in quanto si tratterebbe di un pirocloro ricco in niobio), per finire alle emissioni fumaroliche della Solfatara di Pozzuoli (con le nuove specie mondiali: voltaite, dimorphite, russoite, ferroefremovite e paradimorphite), ai Pisciarelli ed Antiniana, Stufe di Nerone (nei pressi fu rinvenuta la nacholite descritta per la prima volta al mondo) per finire alla Grotta dello Zolfo con la misenite”.
A Procida quali particolarità ha potuto trarre dalle sue ricerche?
“Procida è un’isola di natura interamente vulcanica. È costituita dai seguenti vulcani: Vivara, Pozzo Vecchio, Terra Murata, Fiumicello, Solchiaro; è presente anche una modesta cupola lavica Punta Ottimo e una potente formazione la “Breccia Museo” legata all’eruzione di circa 40.000 anni fa dei Campi Flegrei: l’ignimbrite Campana. È proprio in questi prodotti è stato possibile rinvenire una miriade di specie minerali, alcune molto rare in natura. Antonio Parascandola (1902-1977) procidano di nascita, oltre che essere un grande studioso del Vesuvio, nel periodo pre e post eruzione del marzo 1944, dedicò all’isola diversi lavori sia vulcanologici e sia mineralogici. A lui si deve la scoperta di due crateri sull’isola: Terra Murata e Pozzo Vecchio e lo studio dei minerali della “Breccia Museo” della Punta della Lingua e di Pozzo Vecchio, tale studio che continuo dal 1980. Numerose le specie zeolitiche di un particolare tipo di lava presente unicamente a Punta della Lingua (leucititi analcimizzate): analcime, thomsonite-Ca, mordenite, phillipsite-Na, scolecite, oltre che calcite; mentre nelle sanidiniti: andradite, baddeleyite, davyna, ematite, fayalite, magnetite, marialite, pyrocloro, titanite, vesuvianite, zircone, zirconolite e molti altri ancora. Sull’isola non sono stati scoperte specie nuove al mondo; anzi una la “flegreite” inizialmente nell’antistante a simile Breccia Museo di Monte di Procida. Questa specie non fu accettata con questo nome per motivi di nomenclatura, ma calciobetafite. Recentemente nella revisione mineralogica del gruppo pirocloro è stata screditata perché risultò essere un pirocloro ricco in niobio”.
A Bacoli è presente la grotta dello zolfo, una grotta naturale raggiungibile dal mare piuttosto importante per la ricerca nel suo campo anche per il ritrovamento della “misenite”, ci può dare delle informazioni in merito? E può darci ulteriori informazioni sugli altri minerali in grotta e la loro importanza?
“La Grotta dello Zolfo è un unicum del nostro territorio, vi sono deboli emissioni di idrogeno solforato a bassa temperatura; la grotta è stata studiata fin dagli inizi del 1800 da diversi studiosi i più significativi dal punto di vista geologico furono Scipione Breislak nel 1801 e Giuseppe De Lorenzo nel 1905, poi dal punto di vista mineralogico possiamo noverare Arcangelo Scacchi nel 1849, Raffaello Bellini nel 1901, Ferruccio Zambonini nel 1907 ed Enrico Franco nel 1961. Dal punto di vista mineralogico ha le stesse caratteristiche di tutte le aree fumaroliche di bassa temperatura caratterizzate soprattutto da solfati idrati i più abbondanti dei quali sono: allume potassico, pickeringite, metavoltina, alunogeno, pertlikite, nuova per la località per citarne solo alcuni, senza dimenticare lo zolfo (poco presente). La misenite è una specie trovata qui per la prima volta al mondo, e fu rinvenuta e descritta da Arcangelo Scacchi nel 1849-50 e mai più ritrovata nonostante molti l’abbiano cercata compreso il sottoscritto. A tal riguardo è quasi ultimata una monografia sulla Grotta dello Zolfo. Comunque la Grotta dello Zolfo è un geosito di grande importanza che andrebbe tutelato e valorizzato sia dalle Amministrazioni locali sia dal Parco Regionale dei Campi Flegrei, ma fino ad ora …”.
Esistono, che lei sappia, delle differenze tra “la mineralogia” della Solfatara e quella del vicino cratere dei Pisciarelli.
“Se parliamo delle fumarole che arrivano fino a 100°C, direi tutto sommato di no; se invece parliamo delle due fumarole Bocca Grande e Bocca Nuova della Solfatara di Pozzuoli ti rispondo ovviamente di si. Queste due fumarole rappresentano i punti di emissione di gas a più alta temperatura dell’intera area flegrea (temperatura rispettivamente intorno ai 160°- 155°C). In queste due fumarole non sono presenti solfati idrati tipiche delle incrostazioni fumaroliche, ma sublimati. I sublimati sono minerali che si formano essenzialmente dal raffreddamento che il gas subisce alle emergenze delle fumarole (in realtà il processo dovrebbe formare brinati, in quanto la sublimazione indica il processo inverso). Qui si formano i minerali più interessanti come il realgar, la dimorphite e il clorammonio in primis poi quelli da noi (collaborazione tra INGV-OV e il Dipartimento di Chimica dell’Università di Milano) individuati come adranosite, adranosite-(Fe), alàcranite, efremovite, ferroefremovite, godovikovite, huizigite-(Al), paradimorphite, russoite, e molti altri che se siete interessati sono tutti indicati nella monografia: Russo M, Campostrini I e Demartin F. (2017): I minerali di origine fumarolica dei Campi Flegrei: Solfatara di Pozzuoli e dintorni. Micro, 15(3), 122-192. ISSN 1724-7438. I minerali della Solfatara di Pozzuoli sono stati oggetto di diversi importanti lavori: Scipione Breislak nel 1792 (lavoro esaustivo, che comunque risentiva delle conoscenze chimico-mineralogiche dell’epoca), Antonio Parascandola nel 1951 e Giovanni Ferraris e Carlo Maria Gramaccioli nel 1971″.
Sappiamo che nella Solfatara è stato isolato un nuovo minerale la cui paternità le è stata attribuita: ce ne può parlare?
“La russoite è una nuova specie che è stata rinvenuta nella Bocca Grande della Solfatara di Pozzuoli alla temperatura intorno ai 160°C, si tratta di un sublimato. Il minerale è stato individuato nel 2014 e studiato presso il Dipartimento di Chimica dell’Università di Milano e che carinamente me lo hanno dedicato, conoscendo il mio grande interesse per i minerali della Solfatara di Pozzuoli che dura da oltre 40 anni. La russoite (arsenito cloruro idrato di ammonio) approvato, IMA 2015-105, dall’I.M.A. (International Mineralogical Association) e descritto compiutamente nel 2016, si presenta in piccolissimi cristalli tabulari a contorno esagonale incolori o giallini per inclusione di “limonite”, a volte riunite a rosetta. Finora è l’unica località conosciuta al mondo”.
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Dal 2017 la Solfatara di Pozzuoli è stata chiusa a causa di uno sciagurato incidente che vide la morte di tre persone, da allora la ricerca si è paradossalmente interrotta, nonostante ciò nei campioni raccolti in precedenza siamo riusciti a tirate fuori la paradimorfite (IMA 2021-101). Purtroppo non sappiamo quando si potrà di nuovo usufruire il sito a scopo di ricerca. Noi comunque siamo grati a Giorgio Angarano (uno dei proprietari della Solfatara), per tutti i supporti tecnici e gli aiuti prestatici per eseguire le nostre ricerche mineralogiche e la grande simpatia.
Voglio ringraziare il Dott. Massimo Russo per la sua disponibilità e per averci donato informazioni anche molto particolari sulla mineralogia flegrea. Desidero ringraziarlo inoltre per le belle foto che arricchiscono ulteriormente questo articolo.
Bibliografia
Campostrini, I., Demartin, F. and Russo, M. (2014): A new ammonium arsenite chloride from the Solfatara di Pozzuoli. Congresso Società Geologica – Società Italiana di Mineralogia e Petrologia, Milano 10-12 giugno. Rend. Online Soc.Geol.It., Suppl.n1 al V ol.31, p.309, doi: 10.3301/ROL.2014.140.
CampostriniI., Castellano C., Demartin F., Rocchetti I., Russo M., Vignola P. (2022): Paradimorphite, b-As4S3, a vintage new mineral from Solfatara di Pozzuoli and Vesuvius, Napoli, Italy. Minerlogical Magazione, 1-7. DOI: 10.1180/mgm.2022.47.
Campostrini I., Demartin F., Scavini, M. (2019): Russoite, NH4ClAs23+O3(H2O)0.5, a new phylloarsenite mineral from Solfatara di Pozzuoli, Napoli, Italy. Mineralogical Magazine, 83, 89-94. DOI: 10.1180/mgm.2017.097.
Russo M. (2004). Realgar e Pararealgar della Solfatara di Pozzuoli (Napoli) – MICRO (notizie mineralogiche), Periodico dell’Associazione Micro-mineralogica Italiana, 2004(1): 25-28, Cremona.
Russo M. (2012). Su alcuni aspetti geologici e mineralogici dell’isola di Procida – in: “Ricerche Contributi e Memorie Atti Relativi al periodo 1984-1999”. Centro Studi Isola d’Ischia, 3, 12-24, Atti della Conferenza tenuta alla “Biblioteca Antoniana“, Ischia Porto, 31 ottobre 1984.
Russo M., Campostrini I., Demartin F. (2017). I minerali di origine fumarolica dei Campi Flegrei: Solfatara di Pozzuoli (Napoli) e dintorni. MICRO dell’Associazione Micro-mineralogica Italiana. ISSN 1724-7438.
Russo M. (2017). Le specie mineralogiche trovate per la prima volta al mondo nei Campi Flegrei: vere e perdute. Bollettino della Sezione Campania A.N.I.S.N (Associazione Nazionale Insegnati di Scienze Naturali), 54, 15- 23. ISSN 978-88-97619-02-4.
Russo M. (2019). La Solfatara di Pozzuoli, la miniera dei minerali flegrei. 15 gennaio, INGV Vulcani. https://ingvvulcani.com/2019/01/15/la-solfatara-di-pozzuoli-la-miniera-dei-minerali-flegrei/.
Russo M. (2019). Altro che diamanti! Minerali Rari alla Solfatara di Pozzuoli. 17 giugno, INGV Vulcani. https://ingvvulcani.com/2019/06/17/altro-che-diamanti-minerali-rari-alla-solfatara-di-pozzuoli/.