“In Puteolo alius portus. Custodes Raynaldus Marescalcus de Aversa. Constantinus Bos de Ravellis. Notarius Johannes de Surya de Capua”. È quanto si legge dall’ “Ordinatio novorum portuum per regnum ad extrahenda victualia cum nominibus custodum et notariorum”, un’ordinanza, contenuta nel Registro della Cancelleria imperiale ed emanata il 5 ottobre 1239 dall’imperatore Federico II.
L’ordinanza, poco nota ed oggetto di un recente approfondimento bibliografico, assegnava a funzionari imperiali (Custodes portuum e Notarii) l’incarico di sovraintendere alle attività portuali in undici scali individuati dalla Corona per estrarre ed esportare i prodotti cerealicoli dal Regno di Sicilia verso i mercati del Nordafrica e del Levante.
A studiare il testo medievale è Alfonso Mignone, avvocato salernitano esperto in diritto marittimo, nel libro “La riforma portuale di Federico II” pubblicato nel 2017 da “La Nuova Mezzina” di Molfetta.
Intervista all’autore
Quali sono i porti individuati dall’imperatore?
“Gli undici porti del provvedimento imperiale che ne stabiliva la vocazione di “caricatoi del grano” del Regno di Sicilia erano Torre del Garigliano, Pozzuoli, Vietri, Vibo Valentia nel Tirreno, Trapani e Augusta in Sicilia, Torre di Mare di Metaponto e Crotone sullo Jonio, Pescara, Rivoli; quest’ultimo era un porto alla foce del fiume Salpi nel Gargano poi insabbiatosi dopo qualche anno e, infine, San Cataldo di Bari sull’Adriatico”.
Quali erano le caratteristiche dei porti campani?
“In Campania ne vennero “specializzati” solo tre: oltre a Pozzuoli vi era Torre del Garigliano, porto fluviale che consentiva gli scambi con l’entroterra e che era già utilizzato dall’Abbazia di San Vincenzo al Volturno e Vietri, che era in concessione all’Abbazia della SS. Trinità di Cava dai tempi della dominazione normanna”.
Che ruolo aveva il porto di Pozzuoli?
“Puteoli era stato già fondamentale porto annonario romano con apogeo nel periodo augusteo in cui godeva di particolari franchigie ed altre agevolazioni doganali soprattutto per la frequentazione di mercanti nordafricani, orientali, etiopi ed ebrei. Il ciclico fenomeno del bradisismo che obbligò gli abitanti, verso la fine del V secolo, ad abbandonare quasi del tutto la zona portuale e a stabilirsi a Napoli, che dopo la guerra greco-gotica, divenne capitale dell’omonimo Ducato autonomo filo bizantino”.
Poi, ad un certo punto, Federico II si interessò di Pozzuoli…
“Federico II, come è testimoniato dall’opera “De Balneis Puteolanis” di Pietro da Eboli del XIII secolo, se ne innamorò in quanto aveva constato personalmente le proprietà terapeutiche delle acque del luogo. Pertanto, Puteoli ritornò, grazie all’interesse dello “Stupor Mundi”, anche se per un breve periodo, agli antichi fasti di porto emporio granario con notevole traffico “internazionale” con l’Oriente”.
Cosa accadde a Pozzuoli con la riforma?
“Il disegno di Federico era chiaro: ogni scalo era concepito come “terminale” logistico di un retroterra a vocazione agricola. Pozzuoli, pertanto, ripristinò, seppure per breve tempo, fino alla cessazione del dominio svevo, un ruolo primario di “granaio di Stato” strategico e funzionale sia per l’approvvigionamento interno che per le esportazioni in Africa ed Oriente come era già accaduto al tempo dell’impero romano d’occidente”.