Probabilmente in pochi sapranno che su Archeo, la prestigiosa rivista italiana di archeologia, nel numero di aprile attualmente in edicola compare un articolo di Anna Russolillo, Salvatore Borrelli, Franco Foresta Martin e Roberto Della Rocca dall’eloquente titolo “Cristo si è fermato a Puteoli”.
Nello specifico si parla della necropoli paleocristiana di San Vito e di un’antica masseria posta di fronte alla chiesa di San Vito, “oggi trasformata in struttura ricettiva – che da 2006 al 2009, fu oggetto di lavori di restauro durante i quali venne alla luce una necropoli paleocristiana, definita <<di notevole interesse>> dall’allora Direttore Regionale del Ministero per i Beni e le Attività culturali, Stefano De Caro, e che, a giudizio di Fabrizio Bisconti, Soprintendente delle Catacombe d’Italia presso la pontificia Commissione di Archeologia Sacra, rappresenta <<una delle scoperte più importanti per quanto concerne i monumenti tardo-antichi di Pozzuoli>>”.
Tra le tante scoperte effettuate durante gli scavi primeggia un affresco parietale su cui è rappresentato un pastore barbuto affiancato da due pecore. Tale figura, secondo gli autori, non si può escludere che possa “trattarsi di una raffigurazione di Cristo, “così come lo definisce il Vangelo secondo Giovanni (Gv 10), per il quale [Gesù] è il bello e buon Pastore che guida le pecore, che ascoltano la sua voce, alla pienezza della vita.”
I legami tra Pozzuoli e le origini del cristianesimo sono ben noti: San Paolo sbarcò nel capoluogo flegreo mentre si dirigeva a Roma per essere processato in quanto ritenuto capo delle setta dei Nazorei accusati di aver profanato il Tempio di Gerusalemme. Durante il suo soggiorno nella cittadina flegrea l’apostolo dei gentili sarebbe stato ospitato da una comunità di fratelli che lo invitò a fermarsi una settimana con loro, come narra Luca in Atti 28, 13/14.
Seppure la narrazione degli Atti alimenterebbe qualche perplessità – non si capisce come a un prigioniero le autorità romane concedano la libertà di essere ospitato da una comunità religiosa con il rischio che possa scappare –, il fatto che già in epoca apostolica a Pozzuoli esistesse una nutrita comunità cristiana inserirebbe di diritto la cittadina flegrea con le sue catacombe paleocristiane tra i luoghi di diffusione tra il II e III secolo del cristianesimo sulla nostra penisola.
La pubblicazione, seppure si riferisce a una rivista specializzata, sicuramente stimolerà la curiosità dei tanti amanti dell’archeologia che si recano a Pozzuoli non soltanto per visitare il Rione Terra e gli scavi sottostanti, e il malmesso anfiteatro Flavio, ma le tante altre realtà archeologiche che la caratterizzano, spesso vittime d’abbandono e d’incuria da parte delle stesse autorità, a conferma che, se tale patrimonio venisse tutelato e sfruttato come si deve, Pozzuoli non sarebbe solo un porto di transito per chi è diretto alle isole, o una sorta di “Trastevere partenopea” dove convergere nei fine settimana per mangiare pietanze di mare, ma potrebbe diventare una vera e propria meta turistica per gli amanti dell’arte e dell’archeologia.
C’è d’auspicare che le autorità prendano coscienza della pubblicazione e, dopo averla letta, traggano le dovute conclusioni facendone buon uso. Magari diffondendola nelle scuole, nutrendo negli studenti l’orgoglio di essere puteolani affinché, crescendo, si adoperino per il bene della città.
Diversamente questa scoperta, che altrove avrebbe vasta eco e sarebbe sfruttata intelligentemente per incrementare il turismo portando benefici all’intera comunità, rimarrà confinata nella ristretta cerchia degli addetti ai lavori, fino a cadere nel dimenticatoio soverchiata dai luoghi comuni e dalle lotte di “parrocchia” che alimentano solo chiacchiere e caos, ma che di concreto producono aria fritta!