Una storia amara, protagonisti tre fratelli, tre anime buie che coltivano un legame familiare, stretto nei canoni dell’ambigua valenza dei principi di vita, ordinati da un cumulo di verità nascoste. Certi dell’affetto che li unisce, sorseggiano ogni anno, durante la commemorazione della morte dell’augusto padre, un liquido amniotico torbido. Antichi ricordi e dissapori distorti dal tempo echeggiano nei dialoghi.
Un unico atto anima la coreografia nel quale un dramma umano centra la storia narrata, ricca di colpi di scena e ambiguità segrete. Un linguaggio autentico, senza false righe esprime l’impronta dialettica dei tre personaggi, in una teatralità naturale sorretta da gesti e parole cariche di significato.
L’indifferenza nei confronti dei sentimenti puri rende viva la fiamma del ritmo, che frenetico si sdoppia e conduce il lettore verso la fase finale, dove l’inesauribile scia della morte prende possesso delle loro anime.
Il marchio di fabbrica della malavita organizzata forma parte di un tatuaggio permanente nei tre uomini, e solo uno di loro cerca di cancellarlo. Le immagini riflesse in uno specchio concavo deformano la vera visione della realtà, amplificando i profili dei tre, nati e cresciuti seguendo codici primitivi e crudeli. Un istinto animale detta le regole del gioco, dove l’innominabile condizione del traditore prende corpo, seguita da una scelta grave e inattesa.
Una percussione ritmata deflora lo spazio e il tempo, scandita da una pioggia incessante, le cui gocce, come chiodi invisibili tagliano l’atmosfera, puntellando ogni particella d’aria.
Papele, Carmine e Ivano una triade umana capace di scolpire nell’infinita costellazione del male, il valore deturpato dell’amore, dell’inclusione e del reciproco scambio dei sentimenti veri.
Andrej Longo dipinge un affresco crudo di una fetta d’umanità, un insieme di cromie dai colori acidi inglobati nell’assoluta predominanza del sangue, rosso, copioso, invadente, carico di passione. Un mare di gocce mortali.