Il racconto che segue appartiene alla raccolta di racconti L’UOMO CHE REALIZZAVA I SOGNI pubblicata con Amazon a dicembre 2019.
Mentre nella sala congressi del lussuoso albergo di Davos era in corso la conferenza sulla globalizzazione e sul preoccupante aumento demografico nei paesi sottosviluppati, in un remoto casolare di montagna, al confine tra Svizzera e Italia, un gruppo di sconosciuti discuteva intorno ad un tavolo rotondo. Il lampadario sospeso a mezz’aria proiettava sulle pareti le grottesche ombre dei presenti. Il fuoco del camino riscaldava l’ambiente. La discussione durò tutta la notte. All’alba, quando i primi raggi di un tiepido sole svelavano le cime innevate delle alpi, i partecipanti all’assise si alzarono soddisfatti stringendosi calorosamente le mani. Ognuno fissava compiaciuto il proprio segretario riporre nella ventiquattrore le copie del documento messo a punto.
Sul marciapiede il manifesto pubblicitario ritraeva l’uomo nel lettino d’ospedale, il volto pallido e scarno, lo sguardo spento, la maschera dell’ossigeno sul viso, la flebo nel braccio. La scheletrica mano stringeva quella della donna dall’aria triste al suo fianco. Entrambi fissavano con dolore l’obiettivo fotografico. A margine del manifesto, la didascalia recitava: CONDANNATO A VIVERE. Di lato alla foto era scritto: Philip J… nato il 23.06.1980; affetto da tumore linfatico. MALATO TERMINALE.
Alcune centinaia di metri più avanti, un altro cartellone pubblicitario ritraeva il bambino cadaverico e senza capelli, tra le braccia della mamma. Un velo di morte gli accarezzava il viso. Gli occhi, lampadine fulminate, fissavano il fotografo. Le labbra secche e sbiadite accennavano un pallido sorriso. A margine della foto la scritta: CONDANNATO A VIVERE. Di fianco alla foto:
Leonardo C…, nato il 12.04.1994: affetto da leucemia. MALATO TERMINALE.
Luca non si avvide subito dei manifesti pubblicitari commissionati da una nota industria tessile all’irriverente fotografo che amava stupire il pubblico con immagini scioccanti. Per puro caso posò lo sguardo sul viso mummificato della ragazza distesa nel letto, gli occhi vitrei fissi al soffitto. La scritta recitava: CONDANNATA A VIVERE! Margareth B…, nata il 10.02.1980: affetta da tumore osseo. MALATA TERMINALE.
Leggendo la data di nascita, restò di ghiaccio. Lui e Margareth avrebbero compiuto venti anni lo stesso giorno. Istintivamente si domandò quando fosse stata scattata la foto. Non poteva escludere che lei fosse già morta.
L’autobus giunse in orario. Luca vi salì, osservando dal finestrino la mesta immagine di Margareth diradare man mano che il mezzo si allontanava. Chissà perché, avrebbe giurato che la ragazza implorasse il suo aiuto.
Giunto a casa, salutò i genitori. Si recò in camera, si spogliò ed entrò in bagno per fare la doccia. Il vetro della toilette, anziché riflettere il suo volto dai lineamenti decisi e le labbra carnose, rimandò quello esangue di Margareth.
“Luca aiutami!” supplicava la condannata a vivere.
“Che posso fare per te!” balbettò atterrito, indietreggiando alla parete.
“Aiutami!” “Ma come?”
Qualcuno bussò alla porta. “Tutto bene, Luca?”
“Tutto bene mamma” rispose per rassicurarla.
“Con chi stai parlando?”
“Sto recitando il dialogo di un film.”
“Benedetto figliolo” sussurrò sconsolata, levando gli occhi al cielo.
“Luca aiutami!” riprese Margareth. “Se non so nemmeno dove ti trovi?”
“Rintraccia quel maledetto fotografo. Lui è la chiave del mio male!”
“Problemi figliolo?” domandò il padre, bevendo un bicchiere di vino. Svogliatamente Luca avvolse gli spaghetti fumanti intorno alla forchetta. Il televisore trasmetteva un varietà.
“Papà, ti senti ancora con quel tuo amico ingegnere di Milano?” chiese lasciando cadere la posata nel piatto.
“Ogni tanto, perché?”
“Ho intenzione di incontrare delle persone per allacciare nuovi contatti di lavoro.”
“Vuoi cambiare attività?” si preoccupò la madre, afferrando la caraffa dell’acqua.
“Assolutamente no! Ho un’idea per lanciare sul mercato l’azienda per cui lavoro. Se riuscissi a realizzarla, non avrei problemi per il resto della vita!” mentì riprendendo a mangiare con appetito.
Dopo cena, il padre telefonò all’amico milanese. L’appuntamento fu fisato due giorni prima del compleanno di Luca.
Il taxi avanzava a rilento nel traffico del capoluogo lombardo, fermandosi davanti all’ingresso del grattacielo. Luca pagò la corsa ed entrò nell’atrio. Il pavimento di marmo, appena lucidato, scintillava come un enorme lingotto di cristallo.
“Prego?” chiese il portiere in divisa affacciandosi dalla guardiola nell’atrio. Sembrava un ufficiale in alta uniforme.
“Il dottor M…” fece Luca timoroso.
“Ha appuntamento?” chiese l’uomo scrutandolo con attenzione.
“Sì!” balbettò. Il custode citofonò per accertarsi che Luca dicesse il vero.
“Scala F, 18° piano” fece, riponendo la cornetta con un’aria distratta.
“Caro Luca” lo abbracciò con entusiasmo Alfonso M… “Da quanto tempo. Madonna come sei cresciuto!” aggiunse, conducendolo nel suo ufficio. “Cosa bevi?” domandò, premendo l’interfono mentre si accomodava dietro alla scrivania.
“Una coca” fece Luca, sedendo in poltrona.
“Giovanna, una coca e un doppio whisky” ordinò all’apparecchio sul tavolo. Nell’attesa delle bevande, tempestò di domande Luca.
La porta dell’ufficio si aprì. La segretaria apparve nello studio recando il vassoio con le bibite.
“Cosa ti ha spinto qui?” chiese Alfonso versando da bere. “Vorrei conoscere l’autore della campagna pubblicitaria
della…”
“Perché?”
“Mi interessa il suo lavoro!”
“Hai visto gli orrori che ha ritratto questa volta?” domandò, tormentandosi le labbra tra le dita. Luca accennò di sì col capo. Dopo un giro di telefonate, l’uomo riuscì a fissargli l’appuntamento per l’indomani.
L’aria truce dell’uomo grasso, stempiato, la barba incolta, che aspirava un sigaro puzzolente seduto dietro alla scrivania in mogano, mise Luca in soggezione.
“Che vuoi, ragazzo?”
“Vorrei conoscere Margareth!” rispose Luca.
“E chi è?” trasalì, espettorando una densa nuvola di fumo. “Uno dei soggetti di cui si è servito nell’ultima campagna
pubblicitaria della…”
“Non la conosco” ringhiò, rigirandosi nervosamente nella poltrona di pelle nera.
“La ragazza affetta da tumore osseo, nata il 10 febbraio di vent’anni fa!” insistette Luca, sporgendosi verso la scrivania.
“Ah, quella! Perché vuoi incontrarla?” chiese, rilassando le membra flaccide nella poltrona.
“Domani compiamo entrambi venti anni, vorrei augurarle buon compleanno!”
“E’ impossibile!” fece gelidamente, raddrizzandosi a sedere. “Perché?”
“Margareth è in coma!”
Udendo quelle parole, Luca fu scosso da conati di vomito. “Dov’è il bagno?” domandò con una mano sullo stomaco. “In fondo a destra.”.
“Luca, non è vero che sono moribonda”
Udendo la voce, sobbalzò dal lavandino presso cui stava sciacquandosi la faccia. Istintivamente levò lo sguardo allo specchio davanti a sé. Riflesso nel vetro, il volto di Margareth lo fissava con dolcezza.
“Grazie d’essere venuto, sei ancora in tempo per salvarmi!”
“Ma come?” domandò, afferrandosi con entrambe le mani al marmo del lavabo.
“Chiedi l’indirizzo della clinica dove sono ricoverata e vienimi a trovare!”
Luca si dette una rinfrescata e uscì dal bagno.
“Hai bisogno d’aiuto, ragazzo?” chiese il fotografo, fissandolo rientrare.
“Può dirmi dove è ricoverata Margareth?”
“Che intenzioni hai?” La nuvola di fumo gli coprì il viso. “Voglio andare a trovarla” rispose risoluto.
“Se ci tieni proprio…” sospirò. Aprì un cassetto e trasse l’agenda dove annotava gli indirizzi dei suoi modelli.
Il giorno dopo, in compagnia d’Alfonso, Luca si recò alla clinica. “Vorrei notizie di Margareth B…” domandò all’impiegata alla
ricezione.
La donna lo fissò con attenzione. Alzò il telefono e parlò a voce bassa.
“Lei chi è?” domandò poi, senza staccare la cornetta dall’orecchio.
“Un amico!”
“Chi di voi è l’amico di Margareth?” domandò la dottoressa avvicinandosi alle poltroncine dove i due sedevano ad aspettare.
“Io” scattò Luca dalla sedia.
“Mi segua. Da solo!” aggiunse, fulminando l’altro con lo sguardo.
Non appena furono nell’ascensore, Luca si rivolse alla donna con apprensione.
“Come sta Margareth?”.
Il medico levò gli occhi al soffitto in maniera eloquente.
Le porte dell’ascensore s’aprirono. Luca e la donna s’incamminarono lungo il tetro corridoio rischiarato da fievoli lampade al neon.
“S’accomodi” fece la dottoressa, aprendo la porta dell’ultima stanza. Margareth giaceva nel lettino, circondata da un nugolo di persone.
“Lei chi è?” domandò un uomo dall’aria stanca, somigliante in maniera impressionante alla ragazza.
“Un amico!” mentì Luca.
“Vi lasciamo soli!” fece il padre di Margareth. Affranto uscì dalla camera, seguito dai presenti.
Le membra della giovane parevano di cartapesta. Il respiro pneumatico del polmone artificiale che ostinatamente la teneva in vita riempiva la stanzetta. La ragazza per un istante aprì gli occhi. Sembrava sorridesse.
Luca si avvicinò al letto. Prese nella sua l’ossuta mano di Margareth. Lentamente lei volse il capo verso l’apparecchio che la teneva in vita. Implorante alternava lo sguarda tra Luca e l’infernale macchina.
Tremando, Luca s’appressò al congegno. Lanciò un ultimo sguardo alla sciagurata che volgeva gli occhi al cielo come nella foto pubblicitaria. Esitante, pigiò il bottone rosso sul pannello dei comandi. Il dispositivo si arrestò in un sordo ronzio, soffiando come un pallone che si sgonfia.
“Buon compleanno!” sussurrò Luca, fissando Margareth esalare l’ultimo respiro.
Senza rimorsi, con un sospiro di sollievo, abbandonò la stanza. La porta del bagno nella camera di Margareth s’aprì.
Il fotografo, con l’eterno sigaro puzzolente tra le labbra entrò nella stanza seguito da una schiera di persone, inclusa la dottoressa.
“Smontate tutto. Fate attenzione al robot, costa l’ira di dio!” avvertì i due operai travestiti da infermieri che si apprestavano a sollevare Margareth dal letto.
“Devo ammetterlo, dottoressa, l’idea di indicare la data di nascita dei malati sui manifesti è stata davvero geniale!”
“La data è un input inconscio” cominciò lei. “Chiunque fosse nato in quello stesso giorno, leggendola, si identificherà nell’ammalato e, fin quando non si sarà accertato che le sofferenze del disgraziato sono terminate, soffrirà a sua volta, come se lui stesso fosse affetto dal male. In tal modo la morte non solo allevierà le pene del paziente e dei suoi cari, ma determinerà la fine dei patemi che affliggevano il suggestionato!”
Il fotografo aspirò con soddisfazione una profonda boccata dal sigaro, quindi sbuffò nell’aria. Il fumo velò la soddisfazione disegnarsi sul suo volto.
“Quei misteriosi signori che mi hanno commissionato questa campagna saranno molto soddisfatti!” Con fervore, si rivolse nuovamente alla dottoressa.
“Dottore, quanto ci vorrà all’opinione pubblica per assoggettarsi al messaggio subliminale, implorando i propri governanti di rendere l’eutanasia un diritto costituzionale?”
“Tre anni, forse anche meno!”
“Meraviglioso” sussurrò, soffiando nell’aria una densa nuvola di fumo.