Parliamo di Tifeo, il gigante ribelle confinato da Zeus sotto l’isola di Pithecusae, che erutta fuoco rendendo calde le acque e che, con il suo irrequieto agitarsi, provoca terremoti.
Ischia, è un’isola di origine vulcanica, come il Vesuvio, i Campi Flegrei e le isole di Procida e Vivara e quale personificazione del vulcanesimo, miti e leggende si intrecciano nella sua storia.
Come nasce il mito
In principio era il Caos, da cui si originò Gaia, Madre Terra, “Gaia dall’ampio seno”.
Esiodo nella sua Teogonia narra che un giorno, sentendosi sola, Gaia partorì il dio cielo Urano, che divenne suo compagno e amante.
In principio dalla loro unione Gea (“Terra”) genera i Titani: Oceano, Coio (anche Ceo), Creio (anche Crio), Iperione, Giapeto, Theia (anche Teia o Tia), Rea, Themis (anche Temi), Mnemosyne (anche Menmosine), Phoibe (anche Febe), Tethys (anche Teti) e Kronos (anche Crono).
In seguito, l’unione tra Gea e Urano, genera i tre Ciclopi (Brontes, Steropes e Arges; e i Centimani (Ecatonchiri): Cotto, Briareo e Gige dalla forza terribile.
Ma Urano, temendo che i figli lo privassero del potere, li divorava appena nati (secondo alcuni autori questo è il motivo della loro “mostruosità”).
Allora Gea costruisce una falce dentata e invita i figli a disfarsi del padre che li trattiene nel suo ventre, ma solo l’ultimo dei Titani, Crono, risponde all’appello della madre, così appena Urano si stende nuovamente su Gaia, Crono, nascosto lo evira usando un harpe (raffigurata come una corta spada a lama diritta sotto la cui punta ne diparte una seconda a forma di uncino).
Da questo momento inizia il dominio di Crono che, unendosi a Rea, genera: Istie (anche Estia), Demetra, Era (anche Hera), Ade ed Ennosigeo (scuotitore della terra, da intendere come Posidone o Poseidone).
Ma anche Crono voleva uccidere i suoi figli perché un oracolo gli aveva predetto che uno dei suoi neonati, una volta cresciuto lo avrebbe prima o poi spodestato, così, non potendo semplicemente ucciderli perché anch’essi erano dei immortali li ingoiava appena nati.
Un giorno però, Rea, incinta di Zeus decide di partorire di nascosto si reca a Lycto (Creta) e nasconde Zeus in una grotta consegnando una pietra avvolta nelle fasce a Crono il quale la divorerà pensando fosse il proprio ultimo figlio.
Zeus, cresciuto tranquillo e forte senza problemi, una volta raggiunto la maggiore età, decise di diventare il coppiere di Crono, così Rea gli diede una pozione che doveva mettere nella coppa di Crono affinché vomitasse tutti i figli ingoiati.
Il piano ebbe successo e Crono vomitò prima la pietra, poi Poseidone, Hades, Hera, Demetra e Estia, incredibilmente illesi, che in segno di rispetto per averli liberati chiesero a Zeus di guidarli nella guerra contro i Titani, che Crono aveva coinvolto per muovere guerra ai figli: la Titanomachia.
Dopo dieci anni di guerra, Zeus si alleò con gli Ecatonchiri e i Ciclopi liberandoli dal Tartaro e i Ciclopi, in segno di gratitudine, donarono a Zeus i fulmini, ad Hades donarono un elmo che rendeva invisibili e a Poseidone il famoso tridente.
Così Hades rubò le armi a Crono mentre Poseidone lo minacciava con il tridente e Zeus lo colpiva con la folgore.
Zeus vinse la guerra e costrinse Atlante, che era rimasto neutrale, a prendersi il peso del mondo sulle spalle e mise gli altri Titani nel Tartaro per punizione, sotto la sorveglianza degli Ecatonchiri e dei Giganti.
Il titano Oceano e le Titanidi non avevano preso parte alla guerra e non furono puniti e anche Prometeo, pur essendo un Titano figlio di Giapeto, non venne punito, perché durante la guerra si era schierato dalla parte di Zeus.
Ma Gea, la Terra, non perdonò a Zeus la vittoria sui suoi figli Titani e gli aizzò contro le altre sue creature, i Giganti.
Gigantomachia
I Giganti con un corpo smisurato, code di draghi e sguardo terribile, erano 24 ma tra i tanti quelli più nominati erano: Alcioneo, Porfirione, Efialte, Eurito, Encelado, Tifeo.
La guerra si svolse partendo dalla Sicilia fino ai Campi Flegrei e proseguendo in Arcadia, in Tessaglia, Macedonia e Tracia.
I Giganti per raggiungere la vetta dell’Olimpo, sovrapposero una montagna su l’altra ma Zeus riuscì a sconfiggerli con l’aiuto di tutti i suoi fratelli e Dèi dell’Olimpo e persino di un semidio Hèracle o Ercole, seppellendo i loro corpi Giganti sotto vari vulcani.
Tifeo
Tifeo aveva l’aspetto di un mostro dalle cento teste di serpente, dagli occhi ardenti, dalla forza irrefrenabile e dalla voce “ora di un toro superbo, alto muggente, ora somigliante alla voce di cani, meraviglia ad udirsi, ora infine fischiava e ne echeggiavano le grandi montagne”.
Il gigante, fedele alle consegne materne, si ribella a Zeus, il quale, irato nel cuore, dopo un’aspra lotta, lo seppellisce sotto l’isola di Ischia.
La figura dei Giganti è presente in numerosissimi autori
Già Omero nell’Iliade (II, 780-783) accenna a Tifeo, collocando la sua sede nella terra degli Arimi (terra delle scimmie, in lingua etrusca, arimos).
Ma andavano gli armati come se l’intero terreno ardesse
e sotto gemeva per l’ira la terra per l’ira di Zeus che avventa i fulmini
quando sferza la terra intorno a Tifeo fra gli Arimi,
dove si dice Tifeo abbia il letto.
Anche Esiodo nella Teogonia (295-308) colloca Tifeo fra gli Arimi, quando si unisce in amore con Echidna, mostro metà fanciulla e metà terribile serpente, con la quale “concepì figli dal cuore violento” .
Anche se gli antichi identificavano il nome Arimi con la regione dei vulcani della Cilicia, Strabone (XIII,626 e sgg.) afferma che per alcuni gli Arimi sono in Cilicia, per altri in Siria, mentre altri ancora identificano, invece, gli Arimi con Pithecusa.
Invece secondo il poeta Pindaro (Pitiche, I, vv. 13-28), il gigante Tifeo giaceva sotto l’intera regione compresa tra l’Etna e Cuma, collegando in tal modo i fenomeni vulcanici campani con quelli della Sicilia.
Per Virgilio (Eneide, IX, 715-713), la sede di Tifeo è Ischia.
Il canto trentunesimo dell’Inferno di Dante Alighieri si svolge tra l’ottavo e il nono cerchio, nel Pozzo dei giganti. Mentre Dante e Virgilio camminavano sull’ultimo argine dell’ottavo cerchio dopo aver attraversato l’ultima Malebolgia, procedevano in silenzio nell’oscurità che era men che notte e men che giorno, tanto che la vista si poteva spingere avanti ben poco.
Dante aguzzando la vista vede alcune alte torri e chiede a quale terra appartengano, ma Virgilio lo riprende dicendogli come nell’oscurità a troppa distanza i sensi ingannino facilmente perciò conveniva affrettarsi per vedere meglio.
Man mano che si avvicinano Dante si rende effettivamente conto della realtà mentre Virgilio gli spiega acciò che ‘l fatto men ti paia strano, che non sono torri ma giganti, che stanno nel pozzo attorno all’argine dall’ombelico in giù.
La leggenda di Tifeo è ancora oggi viva nei racconti degli ischitani e i nomi di alcune località isolane lo ricordano: Testaccio è il luogo dove si trova la testa di Tifeo, a Panza si trova il suo corpo e il ventre e a Lacco Ameno sorge dal mare il Fungo (la parte innominabile del suo corpo).
Bibliografia:
Esiodo. Opere. Traduzione di Graziano Arrighetti, 1998 Torino, Einaudi-Gallimard.
Fritz Graf. “Il mito in Grecia”. Bari, Laterza, 2007,
Immagine di copertina: Zeus scaglia il fulmine contro Tifeo, hydria calcidese a figure nere, 550 a.C, Staatliche Antikensammlungen ( Collezioni Nazionali di Oggetti Antichi). Monaco di Baviera. (Pubblico dominio)