La discesa e la risalita: il percorso nelle tenebre fino alla visione del firmamento. Virgilio e Dante, due simboli della cultura europea che continuano a parlare a tutti e ad affascinare il mondo della cultura. Innumerevoli le similitudini tra l’Eneide e la Divina Commedia che ancora oggi impegnano gli studiosi di varie discipline.
Gli oltre tredici secoli che separano le vite dei due autori svaniscono al cospetto della maestosità della Divina Commedia: nelle terzine dantesche Publio Virgilio Marone appare come una figura contemporanea di Dante Alighieri. È l’esule fiorentino che ha scelto il poeta latino come testimone dell’affermazione del volgare che, dalla Commedia in poi, intraprende il percorso per conquistare la dignità di lingua.
Infiniti i confronti che si possono scegliere; in questa sede si individua uno degli accostamenti tra l’Eneide e la Commedia che ci consentono di individuare, sullo sfondo, i Campi Flegrei come luoghi da cui ha tratto ispirazione la cultura mondiale.
Possiamo rintracciare questo legame nel VI Canto del capolavoro virgiliano.
I versi di Virgilio
Talibus orabat dictis arasque tenebat
cum sic orsa loqui uates ´sate sanguine diuum
Tros Anchisiade, facilis descensus Auerno
noctes atque dies patet atri ianua Ditis
sed reuocare gradum superasque euadere ad auras
hoc opus hic labor est.’
Con tali parole pregava e curava gli altari,
quando così la profetessa cominciò a parlare: “Nato da sangue di dei,
Troiano figlio di Anchise, facile è la discesa all’Averno:
giorno e notte è aperta la porta del nero Dite
riportare su il passo e riuscire a rivedere le stelle.
Questa è l’impresa, questa la fatica”.
La Profetessa che parla è la Sibilla Cumana. Lo scenario è quello suggestivo del lago d’Averno, l’Ade dei Greci e gli Inferi dei Romani, il vulcano d’acqua su cui non volavano gli uccelli per le esalazioni sulfuree. Il luogo del misterioso popolo dei Cimmeri che ancora oggi attrae per la sua aurea misteriosa. Gli ultimi tre esametri virgiliani recitano: “La discesa all’Averno è facile, la porta della città infernale (denominata anche Dite, divinità del mondo di sotto) è aperta giorno e notte. Risalire e uscire all’area superiore. Questa l’impresa, questa la fatica”. Molti hanno tradotto letteralmente in “aria superiore” quelli che altri hanno reso nel più poetico “riuscire a rivedere le stelle”. E Dante sceglie quest’ultima versione. E ne è talmente attratto che la “riusa” nella Divina Commedia.
I versi di Dante
Nell’ultimo verso del XXXIV Canto, l’ultimo dell’Inferno, Dante scrive uno dei versi più famosi della sua opera:
Lo duca e io per quel cammino ascoso
intrammo a ritornar nel chiaro mondo;
e sanza cura aver d’alcun riposo,
salimmo sù, el primo e io secondo,
tanto ch’i’ vidi de le cose belle
che porta ‘l ciel, per un pertugio tondo.
E quindi uscimmo a riveder le stelle.
Il duca – inteso come colui che guida – è Virgilio e l’ultimo verso è un chiaro rimando al VI Canto dell’Eneide. Nel caso di Enea la Sibilla pronuncia – poco prima dell’inizio del viaggio nell’Oltretomba – quelle parole quasi da monito perenne, non solo per Enea ma per tutti: “perdersi/scendere è facile, difficile è la risalita”. Dante invece riporta il verso quando, in compagnia dello stesso Virgilio, muove gli ultimi passi per abbandonare l’Inferno – una dura prova tra belve, diavoli, mostri mitologici e dannati – fino ad arrivare a vedere il cielo e raggiungere il Purgatorio. Un’autentica liberazione. Inevitabile immaginare che Dante abbia avuto in mente il lago d’Averno come ingresso agli Inferi, così come lo aveva immaginato Virgilio attingendo alle credenze religiose Greche e Latine.
Il Dantedì
In occasione del 700esimo anniversario della morte di Dante Alighieri molti eventi dedicati hanno ripreso il verso, diventato slogan, “e quindi uscimmo a riveder le stelle”. Un verso che nel 2021, con un anno da incubo per la pandemia che sembra non terminare, è un richiamo alla speranza di poter uscire dal budello infernale e rivedere, finalmente, le stelle. Dante morì in esilio a Ravenna il 14 settembre del 1321. Ma gli studiosi hanno voluto il 25 marzo come giorno in cui ricordare il Sommo Poeta poiché tradizionalmente è in questa data del 1300 in cui Dante inizia il viaggio allegorico dalla Selva Oscura al Paradiso. I motivi sono vari e sempre simbolici. Alcuni esperti ricordano che il 25 marzo è anche la Giornata dell’Annunciazione della nascita di Gesù, quella dell’incontro della Vergine con l’Arcangelo Gabriele: esattamente nove mesi prima del Natale.
Le stelle di Dante
Le “stelle” sono il simbolo che Dante sceglie a chiusura delle terzine delle Cantiche. Pertanto “stelle” è la parola che chiude tutta l’imponente opera.
XXXIV Canto dell’Inferno
Lo duca e io per quel cammino ascoso
intrammo a ritornar nel chiaro mondo;
e sanza cura aver d’alcun riposo,
salimmo sù, el primo e io secondo,
tanto ch’i’ vidi de le cose belle
che porta ’l ciel, per un pertugio tondo.
E quindi uscimmo a riveder le stelle.
XXXIII Canto del Purgatorio
Io ritornai da la santissima onda
rifatto sì come piante novelle
rinnovellate di novella fronda,
puro e disposto a salire alle stelle.
XXXIII Canto del Paradiso
A l’alta fantasia qui mancò possa;
ma già volgeva il mio disio e ‘l velle,
sì come rota ch’igualmente è mossa,
l’amor che move il sole e l’altre stelle.
Il lago d’Averno e Galileo Galilei
È il lago d’Averno il “luogo” in cui si svolgono le vicende infernali per l’Eneide e per la Commedia. Virgilio ne fa il centro del VI Canto, ben conoscendo storia e luoghi, avendoli visitati, vissuti e amati. Dante non ha mai visitato questi posti e non cita l’Averno. Ma per lui, grazie agli studi degli autori Latini, sono luoghi familiari e considerati, ancora nel pieno del Medioevo, sede della cultura classica.
Se mai ci fossero dubbi sull’individuazione della porta degli Inferi danteschi con l’Averno, a cancellarli definitivamente è stato Galileo Galilei nella prima delle “Due lezioni all’Accademia fiorentina circa la figura, sito e grandezza dell’inferno di Dante” pubblicate nel 1588. Galileo dibatteva sulle tesi di due umanisti, Antonello Vellutelli e Antonio Manetti, sulla scientificità dell’Inferno descritto dall’Alighieri. Basandosi sull’intuizione del Manetti, Galilei, confermò che l’ingresso agli Inferi di Dante era tra Cuma e Napoli perché “in tal luogo, o non molto lontani, sono il lago Averno, monte Drago, Acheronte, Lipari, Mongibello e simili altri luoghi, che da gli effetti orribili che fanno paiono da stimarsi luoghi infernali; e finalmente giudica, aver il Poeta figurata ivi l’entrata dell’Inferno per imitar la sua scorta, che in tal luogo la pose”.