L’astronomo Joseph Jerome de Lalande, ebbe a dire del principe Raimondo di Sangro, che non era un accademico, ma un’accademia intera.
Nacque a Torremaggiore, nelle Puglie, discendente di un’antica casata che risale a Carlo Magno, in uno dei castelli appartenuti alla sua famiglia nel 1710. Sua madre, figlia della principessa Aurora Sanseverino, morì il 26 Dicembre dello stesso anno, mentre suo padre, Antonio di Sangro, duca di Torremaggiore, a causa dei frequenti viaggi per affari in giro per l’Europa, fu costretto ad affidare il bimbo al nonno Paolo, sesto principe di Sansevero, risiedente a Napoli. Qui Raimondo crebbe, e quando diede mostra delle sue grandi capacità intellettuali, fu inviato dal nonno a Roma per studiare dai Gesuiti. Le sue grandi doti furono non solo affinate, ma in un certo qual modo santificate da una sacra grazia, che condusse Raimondo a realizzare in giovanissima età, la sua prima invenzione: un palco teatrale pieghevole.
Dopo la morte del nonno, con il rifiuto del padre di prenderne la giusta successione, Raimondo divenne il settimo principe di Sansevero. Da qui iniziò una lunga serie d’invenzioni, studi e lavori, il principe divenne in poco tempo un uomo di cultura, di lettere, un inventore, accademico, alchimista, anatomista e militare, assumendo la carica di colonnello, combattendo in prima linea nell’esercito di Carlo di Borbone, a Velletri, contro gli Austriaci, mostrandosi un abile e coraggioso combattente. Da quest’esperienza, nacque una delle sue più significative opere letterarie: la Pratica di Esercizi Militari per l’Infanteria, pubblicata nel 1747: l’opera ricca di preziosi consigli sulle tecniche militari, fu molto apprezzata da Luigi XV di Francia e da Federico II di Prussia. Scrisse altri trattati, come la Dissertation sur une lampe antique, basata sull’invenzione di una lampada perpetua, una scoperta che realizzò per caso, in uno dei suoi tanti esperimenti. Diede vita a una sorta di combustibile che alimentò il fuoco di una lampada per tre mesi continui, di questa tecnica e del combustibile non si seppe più nulla.
La sua voracità artistica e culturale, lo indusse a mettere sempre mano in qualche impresa. Creò il primo archibugio del mondo, in grado di sparare sia a polvere sia ad aria compressa, e sempre in ambito militare, realizzò un cannone molto leggero, circa centonovanta libbre in meno rispetto a quelli in uso allora, ma dotato di una gittata comunque potente.
Molti furono gli studiosi che restarono affascinati da questo grande genio, capace di destreggiarsi con lo stesso acume in ogni arte.
Creò nel suo palazzo, un laboratorio di alto livello, dotato di fornelli e macchine di ogni genere, ove realizzava le sue invenzioni, come ad esempio dei farmaci, a detta di molti miracolosi. Diverse infatti furono le persone ad essere state guarite mediante i farmaci che il principe produceva con le sue stesse mani. Il re Carlo di Borbone lo fece gentiluomo di corte, e a lui il principe regalò alcune delle sue invenzioni, come ad esempio l’archibugio e un tessuto impermeabile di sua invenzione; divenne anche membro della massoneria nel 1737, ove fu iniziato nel palazzo del duca di Villeroy a Parigi, ideologia quella massonica ed esoterica, che sempre il principe visse e rappresentò in ogni sua opera, come nella cappella di famiglia.
Nel 1740 infatti, diede il via all’ampliamento della cappella familiare, chiamando a sé i maggiori artisti per la realizzazione di alcune statue che avrebbero reso la cappella, tra i maggiori musei al mondo. Il principe stesso prese parte alla realizzazione della cappella, talvolta dirigendo oppure creando, infatti sono di sua realizzazione i colori che compongono la volta della cappella. Dopo tutto questo tempo, sono ancora intatti, freschi come fossero stati realizzati di recente, mai è stata posta mano per restaurarli.
Fra le tanti arti cui il principe si interessò, l’anatomia è una di queste. Insieme all’anatomista Giuseppe Salerno, realizzò delle macchine anatomiche, ossia due modelli anatomici dell’apparato circolatorio. Due scheletri di un uomo e di una donna usati come base, con all’interno ma ben visibile, un posticcio apparato di vasi sanguigni così perfetti che sono parsi veri per molti anni, le due macchine sono situate nella cavea della cappella, nel piano inferiore.
Macchine anatomiche, cappella Sansevero
Tuttavia l’opera massima della cappella, è il prezioso gruppo scultorio, che incornicia con maestosità, una struttura in stile Barocco, nato dalla geniale mente del principe. Il Cristo velato, opera di Giuseppe Sanmartino, è una delle opere maggiori di questo gruppo.
Un fitto mistero ha avvolto per anni le menti di tanti visitatori, riguardo alla modalità con cui lo scultore Napoletano ha realizzato la preziosa opera.
Si diceva che il principe avesse creato in laboratorio una misteriosa tecnica scultoria, capace di rendere come vivo, il lenzuolo marmoreo che avvolge il corpo del Cristo.
Nulla di tutto ciò, sebbene al principe non sarebbe mancato di certo il modo, ma l’opera fu solo il frutto della genialità dell’artista.
Cristo velato, cappella Sansevero
Altre opere di non minore bellezza situate all’interno della cappella, sono le statue che il principe fece realizzare dedicandole al padre e alla madre: il Disinganno, che raffigura un uomo mentre si libera dalle reti, simbolo del peccato, cui il padre fu schiavo, per liberarsi poi negli ultimi anni della sua vita, abbracciando la fede e vivendo una vita consacrata, e la Pudicizia, opera dedicata alla madre, morta prematuramente, entrambe le opere sono il risultato di una genialità artistica senza eguali. Queirolo autore del Disinganno, e Corradini autore della Pudicizia, hanno saputo rappresentare il senso intrinseco della maternità perduta e della paternità ritrovata dopo una vita di dissolutezza. La cappella tutta è il simbolo di un cammino iniziatico; il principe di Sansevero ha diretto personalmente i lavori per la costruzione del mausoleo, peraltro indebitandosi di molto, al fine di realizzare un’opera che simboleggiasse l’ideale massonico di una conoscenza e un cammino interiore di virtù, cui l’uomo può raggiungere solo attraverso un percorso arduo, ideologia che ha saputo ben armonizzare, guidando gli artisti che man mano si sono succeduti per la realizzazione della cappella – mausoleo.
La Pudicizia, cappella Sansevero Il Disinganno, cappella Sansevero
Una delle ultime invenzioni del principe di Sansevero, destò non poco scalpore tra i cittadini Napoletani. Nelle domeniche del Luglio 1770, tra le acque di Posillipo e il Ponte della Maddalena, il popolo vide un’elegante carrozza trainata da cavalli, con tanto di cocchiere, navigare placidamente sulle acque. La Gazzetta di Napoli del 24 luglio 1770 riportò l’evento con queste parole:
«Avendo il Principe di Sansevero inventata, e fatta sotto la sua direzione costruire […] una barca rappresentante una carrozza capace di dodici persone, che col semplice moto delle quattro ruote” avanzava “più che se essa avesse remi o vele”, offrì “agli occhi degli spettatori una piacevole insieme e sorprendente veduta”; dopo averla collaudata a Capo Posillipo, “ne ha voluto nelle passate domeniche rendere questo pubblico spettatore, trasferendosi in essa dal Capo suddetto […] sino al Ponte della Maddalena, non lasciando tutti di ammirare […] l’uguale invariabile movimento, e la somma velocità, colla quale viene spinta la macchina e fa cammino». Alcuni cronisti asserirono che i cavalli fossero fatti di sughero, e che la carrozza si muoveva mediante un sistema di pale a foggia di ruote ideato dallo stesso Principe.
Il suo continuo inventare e mettere mani e genialità in cose di ogni genere, come elementi chimici, gli valse la fama di uomo misterioso, figlio di un mondo oscuro, anche a causa delle esalazioni e dei bagliori che provenivano dal palazzo di Sangro, e che destavano paura al popolo Napoletano, sempre ricco di fantasia esoterica. Purtroppo furono gli stessi elementi chimici che spesso adoperava, a portarlo alla morte, il 22 Marzo del 1771. Ancora oggi è definito un grande profeta dell’illuminismo.