Marco Ambrosino, giovane chef di Procida, propone una cucina contemporanea, che utilizza solo prodotti di stagione, orientata verso valori etici, attenta alla qualità degli alimenti, al rispetto dell’ambiente e all’equità dei processi di produzione. E’ docente di cucina presso la Food Genius Academy di Milano e collabora con il Corso Superiore di Cucina Italiana di ALMA Scuola Internazionale di Cucina Italiana.
Buonasera chef, ci chiediamo come è nata la sua passione per la cucina?
“La mia passione per la cucina è nata un po’ per caso, da sempre mi incuriosiva la magia di quello che accadeva quando mia madre e le mie nonne si mettevano ai fornelli. Per caso all’età di 14 anni comincia ad avvicinarmi al mondo della ristorazione. Vivendo in un’isola turistica in estate si facevano lavori legati alla ristorazione o ad altre attività legate all’accoglienza. Io cominciai a lavorare nelle cucine di un ristorante insieme ad un gruppo di amici e col passare degli anni, pur continuando gli studi – liceo scientifico e facoltà di economia che pero non ho mai concluso – ho cercato di approfondire e perfezionare la mia preparazione in campo gastronomico”.
Nel 2019 ha fondato l’Associazione Collettivo Mediterraneo che si propone di raccontare e promuovere la multiculturalità, la biodiversità e le esperienze delle tradizioni gastronomiche del bacino mediterraneo. Che tipo di cucina propone?
“La cucina che oggi propongo è un racconto contemporaneo, aggiornato e innovato delle pratiche gastronomiche mediterranee. La cultura del cibo mediterraneo affonda le sue radici non soltanto nel prodotto ma soprattutto nella necessità e nell’ingegno che era necessario per ottimizzare le risorse che spesso potevano essere scarse”.
Le sue precedenti esperienze lavorative?
“Le mie esperienze lavorative cominciano sulla mia isola. Il primo ristorante dove lavorai si chiama “L’agave” che è ancora un riferimento sul litorale della Chiaiolella. Poi sono passato in altre cucine e tutte mi hanno lasciato grandi insegnamenti: “il Maestrale”, il “Lido di Procida”, “la Lampara”. Tutte attività che, insieme alle tante e valide realtà presenti, ancora onorano la tradizione gastronomica dell’isola. Poi ebbi la possibilità di lavorare con la chef Libera Iovine al ristorante il melograno di Forio, sono molto legato a quell’esperienza dove ho avuto modo di crescere al fianco di una grandissima professionista e ho conosciuto quella che poi sarebbe diventata mia moglie. Ho avuto modo di fare esperienze in Spagna e in Danimarca e poi da 9 anni sono a Milano”.
Ha mai sognato la stella Michelin? considerando tutti i privilegi acquisiti e le soddisfazioni avute .
“La stella Michelin è sicuramente un grande obbiettivo per chi fa il mio mestiere ma sono anche convinto che il mondo del cibo si è evoluto e ci sono tante realtà che celebrano il cibo di qualità. Credo che lavorare anche per riconoscimenti sia una cosa sana purché non sia un’ossessione. Ovviamente, qualora dovesse arrivare la stella ne saremo estremamente felici”.
Cosa ci propone a cena stasera?
“Per stasera sarei felice di proporvi almeno una speranza per una veloce riapertura. Questo anno ha messo in seria difficoltà il nostro settore che più di tutto sta soffrendo la impossibilità di programmare. Il mio augurio è di riuscire presto ad avere delle prospettive per questo settore per i mesi a venire”.
Ci racconti l’esperienza più significativa?
“In tutte le mie esperienze ho cercato di prendere il più possibile. Da quelle positive ho tratto gli insegnamenti che tuttora mi aiutano nella quotidianità del lavoro, da quelle negative ho capito cosa non sarei voluto essere e ritengo che anche quelle mi siano state molto utili”.
Diventare chef, un sogno realizzato?
“Diventare chef è stata quasi un processo involontario. Con il passare del tempo ho costruito la mia identità professionale e gastronomica e poi è venuta fuori la voglia di raccontarla in prima persona. Mi sento privilegiato ad aver a che fare quotidianamente con processi creativi e di investigazione sia sul prodotto che sulla storia e antropologia. Tutto questo chiaramente è preceduto da un grande lavoro organizzativo che uno chef non può non considerare”.
Lei cosa chiede al personale di sala?
“Credo che il personale di sala sia la parte centrale dell’esperienza al ristorante. Non può esserci messaggio valido senza un adeguato racconto fatto di preparazione e professionalità. Cerco di coinvolgere il più possibile le ragazze e i ragazzi della sala nel processo di creazione dei menù, il risultato dovrà essere un lavoro organico e non una semplice presentazione di un mio pensiero”.
Ci spiega cosa c’è dietro la cucina?
“Dietro la cucina non c’è un singolo concetto un singolo approccio e credo che proprio questo sia la sua bellezza. Molteplicità di contenuti, di sensibilità che vengono trasmesse tramite il lavoro di artigiani del cibo e su ogni tavola sarà possibile scoprire questa varietà di concetti. La parola “ristorante” porta con sé un significato bellissimo: portare ristoro. Ristoro nel cibo ma anche grande momento di conoscenza”.
Cosa ne pensa del binomio cucina, cultura del territorio?
“La cucina è un baluardo della cultura del territorio, preservandola e promuovendola in tutte le sue forme. Dal racconto dei produttori al tramandare usanze e pratiche antiche. Ogni chef porta con sé la sua formazione locale che inevitabilmente ne delinea la vita professionale”.
A quale piatto è più affezionato?
“I piatti a cui sono affezionato sono quelli della mia infanzia che oltre ad evocare ricordi legati al gusto mi rimandano a momenti felici della mia vita. Sono cresciuto in una famiglia dove si è sempre cucinato bene, sono fortunato. I “carciofi indorati e fritti” o la “pizza di scarole” delle mie nonne, il pesce cucinato in maniera eccellente da mia madre”.
Lei è un docente? Vi è differenza tra insegnare e cucinare?
“Nella presentazione di un piatto si elencano gli ingredienti e si è toccato dai cinque sensi, ma vorremmo conoscerne l’anima, amo molto insegnare, credo che il nostro lavoro sia un grande esempio di artigianato e in quanto tale prevede l’esperienza di “bottega”. Insegnare mi permette di trasferire non soltanto competenze tecniche che sono fondamentali per affacciarsi al mondo del lavoro ma mi dà la possibilità di affrontare temi attuali come quelli legati allo spreco alimentare e alla sostenibilità ambientale e dei processi produttivi.
L’anima di un piatto è una cosa estremamente personale e necessita di una grande disponibilità da parte del cliente di lasciarsi trasportare oltre le tecniche e le preparazioni presenti nel piatto. I cuochi devono in qualche modo mettersi a nudo e riuscire a trasmettere qualcosa che è molto più prossima alla fragilità. Cosa non semplice ma sicuramente totalizzante nell’esperienza gastronomica”.
Lei è di Procida capitale della cultura 2022 si sente anche lei partecipe a questo traguardo?
“Procida capitale della cultura è stata una grandissima gioia, merito di tante persone capaci che si sono dedicate a questo lavoro e forti di un tessuto sociale ed economico dell’isola che negli anni è cresciuto e ha creato le basi per questi grandi traguardi. Procida oggi ha la possibilità di mostrarsi per quello che già ha ed ha saputo creare, penso alle tante realtà isolane legate al turismo, ai tanti imprenditori locali che si adoperano quotidianamente per le offerte turistica dell’isola. Io non ho meriti in questi risultati, sono solo un procidano fiero e orgoglioso della mia isola che cerca di raccontare una bellissima comunità che sta costruendo qualcosa di incredibile. Orgoglioso dei miei compaesani che stanno rendendo grande Procida”.