Sei anni di reclusione per Giorgio Angarano, 73 anni di Pozzuoli, il legale rappresentante della “Vulcano Solfatara srl”, condannato anche alla pena accessoria dell’interdizione perpetua dai pubblici uffici e al pagamento delle spese processuali; 172mila euro di sanzione pecuniaria alla società, interdizione dell’esercizio dell’attività per sei mesi e, soprattutto, confisca dell’area: esattamente come aveva richiesto la Procura. Assolti, invece, per non aver commesso il fatto, gli altri soci. Questa la sentenza pronunciata giovedì 28 gennaio 2021 in Tribunale a Napoli, dopo quattro ore di camera di consiglio dal Gup dott.ssa Egle Pilla, al culmine del processo per la strage della Solfatara, il noto sito naturalistico di Pozzuoli dove il 12 settembre 2017 i coniugi veneziani di Meolo Massimiliano Carrer e Tiziana Zaramella e il loro figlioletto Lorenzo persero tragicamente la vita durante una visita turistica.
Il ragazzino avvicinatosi alla zona della fangaia, aperta al pubblico, per scattare una foto, precipitò in seguito all’apertura di una voragine sotto i suoi piedi, che inghiottì, stordendoli con i gas del sottosuolo, anche papà e mamma, precipitatisi nel vano tentativo di salvare il ragazzo. Sopravvisse solo il figlioletto più piccolo dei Carrer, Alessio, che ha assistito impotente al dramma e oggi vive con la zia Elisabetta Carrer. I familiari delle vittime sono assistiti da Studio3A-Valore S.p.A., società specializzata a livello nazionale nel risarcimento danni e nella tutela dei diritti dei cittadini, con gli avvocati Alberto Berardi, del Foro di Padova, e Vincenzo Cortellessa, del Foro di Santa Maria Capua Vetere, e sono già stati risarciti integralmente, ma da parte loro c’era ovviamente una richiesta di risposte anche da parte della giustizia penale.
Per questa immane tragedia sono stati rinviati a giudizio Giorgio Angarano, appunto, e cinque soci “Vulcano Solfatara Srl” che gestiva il sito: Maria Angarano, 75 anni di Pozzuoli, Maria Di Salvo, 70 anni, di Pozzuoli, l’omonima Maria Di Salvo, 41 anni, di Napoli, Annarita Letizia, 71 anni, di Pozzuoli, e Francesco Di Salvo, 45 anni, di Napoli. Rinviata a giudizio anche la stessa società. Erano tutti accusati di aver causato il decesso dei tre turisti “per colpa consistita in negligenza, imprudenza e imperizia nell’aver gestito il sito vulcanico”, classificato dalla Commissione Grandi rischi “in zona rossa”, “in assenza di qualsiasi cautela idonea ad assicurare che l’attività turistico-ricettiva fosse svolta in modo da garantire la sicurezza dei lavoratori dipendenti e dei terzi visitatori”. Erano loro contestati reati pesantissimi (14 capi d’accusa ai sensi del codice penale e del Testo Unico sulla sicurezza sul lavoro), in primis, quelli di omicidio colposo in concorso, con l’aggravante di essere stato commesso in violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro e ai danni di più persone, e di disastro colposo,per i quali sono previsti svariati anni di reclusione, di qui la scelta del rito abbreviato che dà diritto alla riduzione di un terzo della pena.
Infatti, i due Pubblici Ministeri titolari del procedimento, le dott.sse Anna Frasca e Giuliana Giuliano, avevano chiesto condanne pesanti: 6 anni (con già conteggiato lo sconto di un terzo della pena, la richiesta base sarebbe stata 9 anni), per Angarano, 5 anni e 4 mesi (anche questi già ridotti da 8) per gli altri cinque soci, pena pecuniaria di 172mila euro per la società e confisca dell’area, già sotto sequestro dal giorno della tragedia. Richieste come detto tutte accolte, eccezione fatta per i soci, che non sono stati ritenuti colpevoli.
“A parte la posizione degli altri soci – commenta l’avv. Cortellessa, che parla di sentenza equilibrata ma anche significativa – per tutto il resto sono state integralmente accolte le richieste della Procura: sei anni per l’amministratore della società non sono una condanna lieve, quando la pena diventerà definitiva dovrà scontarli in carcere. E’ stata ritenuta colpevole anche la società stessa che ha ricevuto una pesante sanzione pecuniaria, ma la vera “punizione” è la confisca dell’area che le fa perdere una rilevante fonte di introito, considerato il quasi milione di turisti all’anno che faceva registrare il sito”.
“Qualsiasi condanna sarebbe stata inadeguata per un fatto così terribile per la nostra famiglia e soprattutto per Alessio, a cui è stata tolta tutta la sua famiglia: nulla potrà mai restituirci mio fratello Massimiliano, Tiziana e Lorenzo e nulla potrà mai ripagarci della loro perdita – commenta a sua volta Elisabetta Carrer – Oggi mio nipote ha undici anni, crescendo comincia a prendere coscienza di ciò che è successo ai genitori e al fratello maggiore e inizia a chiedersi perché delle persone possano aver permesso che accadesse una tragedia del genere”.
“Premesso questo, però – prosegue Elisabetta – comprendiamo che c’è anche la giustizia dei tribunali e dunque prendiamo atto di questa sentenza che ci lascia non poco amaro in bocca per l’assoluzione degli alti soci della società, che a nostro avviso sono parimenti responsabili, ma che quanto meno mette la parola fine ad una lunga vicenda giudiziaria, ogni capitolo della quale, per noi, e per Alessio, comportava la riapertura di ferite che peraltro non si rimargineranno mai”.
Con un auspicio finale. “La Solfatara è uno dei pochi siti naturalistici al mondo che erano gestiti non dallo Stato ma da privati. Bene che sia stato confiscato. Ci auguriamo che non venga mai più affidato a coloro che male l’hanno condotto in passato e, soprattutto, che possa riaprire in tutta sicurezza per i visitatori e per i lavoratori. Che la morte di mio fratello, di mia cognata e di mio nipote possa essere da monito affinché le logiche del profitto non abbiamo mai più a prevalere sulla prioritaria incolumità delle persone”