Classe 1937, giornalista, dialettologo e saggista, Salvatore Brunetti, pur essendo puteolano doc, per anni ha svolto la propria attività culturale a Napoli dove ha frequentato salotti letterari, venendo a contatto con poeti, scrittori, uomini di teatro tra cui Roberto De Simone. Ha pubblicato IL MISTERO DI MARIANGELA, SCRIVERE IL DIALETTO NAPOLETANO, DIALETTO PUTEOLANO e VOCABOLARIO PUTELOANO – ITALIANO, questi ultimi due editati con New Media Press, curati dall’associazione culturale Lux In Fabula. Per la sua attività divulgativa del dialetto puteolano è stato insignito del Premio Virgiliano 2020. Il suo ultimo lavoro VOCABOLARIO PUTEOLANO – ITALIANO è stato stampato in edizione limitata di 100 copie, ognuna corredata con una cartolina riproducente il Tempio di Serapide opera dell’artista Veronica Longo che ne ha curato anche la grafica. Il volume può essere acquistato a Pozzuoli presso l’Associazione alla Rampa Cappuccini 5, cell. 328 66 70 977 (info@luxinfabula.it) o presso la Nuova Libreria “Percorsi Flegrei” al Corso Garibaldi 13, sempre di Pozzuoli, tel. 081.190.09.000.
Salvatore per te il 2021 inizia con degli ottimi auspici: grazie ai tuoi studi e alle tue pubblicazioni sul dialetto puteolano, sei stato insignito del Premio Virgiliano 2020, te l’aspettavi?
No, assolutamente. È stata una sorpresa, naturalmente gradita. Ringrazio gli organizzatori per l’onore che mi hanno voluto concedere.
Salvatore oltre a essere uno studioso del dialetto puteolano, prima di tutto lo sei del napoletano, come nasce questa tua passione?
Da giovane, lavorando a Napoli nei pressi di via Toledo, per anni ho frequentato salotti culturali napoletani. Quando il pomeriggio finivo di lavorare, uscivo dall’ufficio e andavo in questi ambienti dove si discuteva sul dialetto napoletano. Ebbi così la possibilità di conoscere scrittori, poeti e cantanti famosi. Alla fine degli incontri, molti regalavano ai presenti i loro libri. Leggendoli, notai delle divergenze notevoli nel modo di scrivere in napoletano da parte di ognuno di loro. A stupirmi di più fu che molti di loro, pur abitando nello stesso quartiere, e dunque conoscendosi da una vita, anche se parlavano in dialetto allo stesso modo, scrivevano in napoletano diversamente l’uno dall’altro. Questo particolare mi incuriosì talmente che decisi di approfondire il napoletano per capire quale fosse il modo corretto di scriverlo. A quel punto, dopo aver a mia volta studiato una ventina di autori, decisi di redigere una sorta di compendio in cui indicavo quelle che secondo me erano le direttive giuste per scrivere in napoletano.
Molti contestano i tuoi studi sostenendo che dai un’interpretazione arbitraria di come si scrive il napoletano, del tutto contrastante con la versione ufficiale degli studiosi accademici tra cui spiccano importanti professori universitari. A riguardo cosa rispondi?
Ti racconto un episodio: alcuni anni fa un amico mi chiamò dicendomi che due docenti universitari erano venuti quasi alle mani mentre discutevano su alcuni aspetti dello scrivere in napoletano. Sapendo dei miei studi, mi invitò a incontrarli per ascoltarne le reciproche visioni e dare un mio giudizio. Quando ci incontrammo, saputo che ero uno studioso autodidatta del napoletano, mi esposero quattro punti ai quali risposi in maniera precisa secondo la mia opinione. Alla fine mi guardarono entrambi stupiti, ammettendo che avevo ragione. Quello che mi divertì fu che si strinsero la mano, chiedendosi come fosse possibile che nessuno di loro ci avesse pensato. Ti ho raccontato questo episodio non per vantarmi, ma per dimostrare che il napoletano è talmente semplice che non c’è bisogno di astruse alchimie per scriverlo. A mio giudizio l’idioma napoletano deve essere ben chiaro e leggibile. Io ho letto alcuni testi di grammatica napoletana scritti da docenti universitari e, senza voler mancare loro di rispetto, secondo me hanno intrapreso una strada errata. Prima di tutto perché sono scritti in un modo che difficilmente un cittadino normale può capirci qualcosa. Possibile mai che un dialetto così semplice debba essere reso complesso dagli accenti circonflessi, dalla “i” lunga, dalle dieresi? Tutti segni che non c’entrano niente con il napoletano. Io ho voluto scrivere qualcosa di semplice e chiaro alla portata di tutti.
A riconoscere la tua autorità in merito al napoletano c’è il maestro Roberto De Simone il quale, dopo aver letto e apprezzato il tuo libro sul dialetto napoletano, ti spinse a fare uno studio sul puteolano.
Questo avvenne quando gli consegnai il lavoro che all’epoca mi commissionò: aveva scritto un racconto di una decina di pagine e mi chiese di tradurlo in puteolano, cosa che mi stupì ma ovviamente mi onorò.
Come venisti a contatto con De Simone?
A parlargli di me fu il suo segretario il quale mi chiamò poi a casa. Disse che il maestro aveva saputo che ero un esperto del dialetto puteolano e voleva parlarmi. Fu così che ci demmo appuntamento e andai a casa di questo grande personaggio. Quando successivamente gli portai il lavoro che mi aveva chiesto, fu molto contento. Parlando del puteolano, lui sosteneva che era uno dei dialetti più antichi perché, rispetto al napoletano che nel corso dei secoli ha avuto diverse varianti, il puteolano è rimasto incontaminato nel tempo. A quel punto mi suggerì di fare uno studio sul puteolano, magari scrivendone una grammatica. In seguito Antonio Daniele mi chiese di tradurgli in puteolano una bucolica di Virgilio per un lavoro che stava approntando a Pozzuoli. Fu allora che in me nacque la voglia di portare avanti uno studio approfondito sul puteolano. Successivamente ebbi modo di conoscere Claudio Correale: anche lui mi suggerì di fare un lavoro del genere e così presi a lavorare a DIALETTO PUTEOLANO che ben conosci avendolo recensito.
Anni fa, intervistandolo, il compianto Michele Sovente affermò che sbaglia chi definisce il puteolano sguaiato in quanto quelle continue variazioni di tono che lo caratterizzano, dandogli quella parvenza di sguaiatezza, in realtà ne attestano la musicalità rispetto al napoletano che invece è monotono. Tu che a riguardo che mi dici?
Ammetto che per molto tempo anch’io ho considerato il puteolano un idioma sguaiato. Da quando all’età di undici anni iniziai a frequentare Napoli prima per la scuola e poi per lavoro, venendo deriso dagli amici per la mia cadenza dialettale, non ho mai più parlato puteolano. Sulla musicalità del puteolano mi sono ricreduto solo dopo aver parlato con De Simone il quale sostiene quanto diceva Sovente.
Salvatore perché un Vocabolario Puteolano – Italiano?
Tutti i dialetti ufficialmente riconosciuti devono dotarsi di una grammatica e di un vocabolario. Avendo pubblicato in precedenza già un testo di grammatica puteolana, mi sembrava giusto abbinarvi un vocabolario per ufficializzare l’esistenza del dialetto puteolano! Mi riprometto di effettuare una ricerca per vedere se esiste una letteratura in lingua puteolana. Soprattutto per quanto concerne la poesia, visto che tutti i poeti puteolani che finora ho conosciuto scrivevano e scrivono le loro poesie dialettali in napoletano anziché in puteolano. Non escludo che qualcuno in passato lo abbia fatto, ma se ne siano perse completamente le tracce. Quelle tracce che spero di rinvenire in modo da completare la trilogia sul dialetto puteolano, affiancandovi anche un testo di letteratura puteolana.
Al momento stai lavorando a qualche nuovo progetto?
Ho intenzione di ristampare IL MISTERO DI MARIANGELA, un romanzo a sfondo religioso che pubblicai molti anni fa. Poiché all’epoca piacque molto, credo che meriti d’essere dato nuovamente alle stampe.
Salvatore tu hai la veneranda età di ottantatré anni, cosa vuoi fare da grande?
Spero di vivere ancora un bel po’ per dare qualcosa di concreto a Pozzuoli verso cui mi sento in debito, avendo svolto molta parte della mia attività culturale tra Napoli e il Molise: essendo mia moglie di origini molisane, su invito dei sindaci, ho avuto modo di collaborare con diversi comuni di quella regione. È ora giunto il momento che mi dia da fare per la mia città.
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