Sarà pronunciata il 28 gennaio 2021 l’attesa sentenza del processo per la strage della Solfatara,che vede alla sbarra il legale rappresentante, altri cinque soci e la “Vulcano Solfatara srl”, la società che gestiva il noto sito naturalistico di Pozzuoli dove il 12 settembre 2017 i coniugi veneziani di Meolo Massimiliano Carrer e Tiziana Zaramella e il loro figlioletto Lorenzo persero tragicamente la vita durante una visita turistica. A renderlo noto il giudice del tribunale di Napoli dott.ssa Egle Pilla, dopo l’udienza tenutasi oggi, mercoledì 9 dicembre 2020, nel corso della quale le difese degli imputati, che erano tutti presenti in aula,hanno ultimato le loro arringhe e al termine della quale la dott.ssa Pilla ha calendarizzato le ultime due date: l’11 gennaio udienza per le repliche dei due Pm della Procura partenopea titolari del procedimento penale, le dott.sse Anna Frasca e Giuliana Giuliano, e il 28 gennaio udienza finale per le eventuali contro-repliche dei difensori e, appunto, per la lettura della sentenza.
Com’è tristemente noto, quella maledetta giornata Lorenzo Carrer, avvicinatosi alla zona della fangaia, aperta al pubblico, per scattare una foto, precipitò in seguito all’apertura di una voragine sotto i suoi piedi, che inghiottì, stordendoli con i gas del sottosuolo, anche papà e mamma, precipitatisi nel vano tentativo di salvare il ragazzo. Sopravvisse solo il figlioletto più piccolo dei Carrer, che ha assistito impotente al dramma e oggi vive con la zia. I familiari delle vittime sono assistiti da Studio3A-Valore S.p.A., società specializzata a livello nazionale nel risarcimento danni e nella tutela dei diritti dei cittadini, con gli avvocati Alberto Berardi, del Foro di Padova, e Vincenzo Cortellessa, del Foro di Santa Maria Capua Vetere, e sono già stati risarciti integralmente, ma ora si aspettano con fiducia che sia fatta giustizia anche sul fronte penale.
Per questa immane tragedia sono stati rinviati a giudizio Giorgio Angarano, 73 anni di Pozzuoli, legale rappresentante della “Vulcano Solfatara srl”, e cinque soci della stessa: Maria Angarano, 75 anni di Pozzuoli, Maria Di Salvo, 70 anni, di Pozzuoli, l’omonima Maria Di Salvo, 41 anni, di Napoli, Annarita Letizia, 71 anni, di Pozzuoli, e Francesco Di Salvo, 45 anni, di Napoli. Rinviata a giudizio anche la stessa società in persona del legale rappresentante. Sono accusati di aver causato il decesso dei tre turisti “per colpa consistita in negligenza, imprudenza e imperizia nell’aver gestito il sito vulcanico”, classificato dalla Commissione Grandi rischi “in zona rossa”, “in assenza di qualsiasi cautela idonea ad assicurare che l’attività turistico-ricettiva fosse svolta in modo da garantire la sicurezza dei lavoratori dipendenti e dei terzi visitatori”. Sono loro contestati reati pesantissimi (14 capi d’accusa ai sensi del codice penale e del Testo Unico sulla sicurezza sul lavoro), in primis, quelli di omicidio colposo in concorso, con l’aggravante di essere stato commesso in violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro e ai danni di più persone, e di disastro colposo,per i quali sono previsti svariati anni di reclusione, di qui la scelta del rito abbreviato che darà loro diritto alla riduzione di un terzo della pena.
Infatti, i due Pubblici Ministerihanno hanno chiesto condanne pesanti: 6 anni (con già conteggiato lo sconto di un terzo della pena, la richiesta base sarebbe stata 9 anni), per Angarano, 5 anni e 4 mesi (anche questi già ridotti da 8) per gli altri cinque soci, pena pecuniaria di 172mila euro per la società e confisca dell’area, già sotto sequestro dal giorno della tragedia.
Contestazioni a cui i legali di Angarano nella presedente udienzahanno cercato di controbattere, asserendo anche che il loro assistito sarebbe stato lasciato solo dalle istituzioni, tentando di alleggerirne la posizione e lamentando l’entità a loro dire eccessiva della pena richiesta e il mancato riconoscimento delle attenuanti generiche, considerato anche l’avvenuto risarcimento in favore dei familiari delle vittime. I difensori degli altri soci, anche quelli intervenuti quest’oggi, invece, hanno portato avanti la linea della “estraneità” ai fatti contestati, sostenendo che i loro clienti non avrebbero avuto alcuna delega né potere nella gestione dell’area di cui erano “solo” comproprietari: tesi opposta a quella portata invece avanti dalla Procura, secondo cui anch’essi sapevano bene della situazione ad alto rischio in cui versava il sito e delle gravi lacune sul fronte della sicurezza ma non avrebbero fatto nulla, mettendo innanzi le logiche del profitto, ragion per cui avrebbero a loro volta la loro parte di responsabilità. Il 28 gennaio la decisione.