Quella della famiglia Mautone, è una storia che nasce nelle corsie degli ospedali. Una famiglia composta da sei persone, di cui cinque infermieri, tutti eccetto la mamma, una donna simpatica e lavoratrice, di nome Mafalda.
La storia inizia con papà Giorgio, ora in pensione dopo 42 anni di servizio, per poi continuare attraverso i figli: Raffaele, 46 anni, attualmente infermiere di angiografia al cardiocentro di Lugano, disponibile anche per casi Covid. Valerio, 43 anni, infermiere di sala operatoria di neurochirurgia all’ospedale Sant’Anna di Como, in occorrenza trasformata in rianimazione Covid. Maria, 37 anni, infermiera presso l’area chirurgica dell’ospedale Sant’Anna di Como, anch’esso convertito in degenza Covid, e Stefania, 39 anni, infermiera nel reparto di medicina generale e chirurgia vascolare, ed è colei che ci ha lasciato questa intervista, in un periodo in cui l’emergenza Covid-19, si fa sempre più incalzante.
Stefania Mautone risiede attualmente nel quartiere Pianura: madre e infermiera presso l’ospedale Pellegrini di Napoli, insieme a tanti altri infermieri della nostra città, vive con profonda attenzione e dedizione quello che per lei è considerata una vera e propria missione, particolarmente in questo periodo.
Insieme ai tuoi fratelli, sei stata ospite di diverse trasmissioni televisive nazionali, e di Papa Francesco, queste esperienze cosa hanno significato per te?
In questo periodo così drammatico, portare alla gente l’immagine dell’infermiere che come una madre ti sta vicino nel momento più difficile, è stato oltre che un piacere del cuore, un vero e proprio atto d’amore nei confronti di chi soffre, per far loro capire che noi infermieri ci siamo e ci saremo sempre. L’incontro con il Papa è stato indescrivibile, per me un’infermiera Cattolica, è stato il coronamento di un sogno.
L’esperienza Covid per un infermiere, cosa sta significando?
Per noi infermieri è stata come un’onda che inaspettatamente ci ha travolti, e ha cambiato la nostra vita. Ad un tratto ci siamo visti spostare in altri reparti, rimpinguare altri ospedali in carenza di personale, fare turni impossibili.
Senti di vivere questa particolare emergenza come un ulteriore dovere o una missione?
L’esperienza del Covid, inizialmente mi ha spaventata molto. Dopo il primo caso di contagio nel mio reparto, decisi di starmene a casa, soprattutto per tutelare la salute della mia bambina, di appena un anno di vita, ma il senso forte della missione che sono chiamata a svolgere, e il senso del dovere mi spinsero a riconsiderare il tutto, e di decidere di scendere in campo e di combattere insieme agli altri, lo devo anche alla mia bambina, così che un giorno ne tragga un giusto insegnamento.
Un’infermiera profondamente Cattolica, questo cosa significa per te e cosa ha aggiunto al tuo cammino di fede?
Papa Francesco disse in un’udienza: “Se Dio fosse un uomo, sarebbe un infermiere” avere fede in Dio, ed essere anche un’infermiera, per me è una deliziosa responsabilità, è come essere due volte credente. Ho la possibilità di vedere la sofferenza e poterle dare il segno che Dio è lì per porvi consolazione; è un’esperienza che mi riempie e allo stesso tempo mi svuota d’amore.
Un’esperienza che desideri raccontare riguardo al Covid?
C’era una signora ricoverata per Covid-19 da ormai 30 giorni, e in tutti quei giorni non aveva mai lavato i suoi capelli. Allora un giorno, presi la decisione di lavarglieli io quei capelli un po’ spenti, di asciugarglieli e di spazzolarli; lei mi ricambiò con un sorriso che vale più di molti premi e che ancora porto nel cuore.
Cosa vorresti dire ai cosiddetti negazionisti?
I negazionisti, a mio parere, sono simili a coloro che non accettano la malattia o la morte di un loro parente; c’è la fase della negazione, come in tutti i processi non elaborati che accadono in ogni uomo, è naturale, e quindi i più spaventati preferiscono negarlo, così spaventa meno, ma posso assicurarvi che il virus c’è.
Cosa pensi della sanità in Campania?
La sanità in Campania è stata bistrattata, molti ospedali sono stati chiusi, ospedali che se fossero aperti, ci aiuterebbero non poco a fronteggiare questo virus, ma nonostante tutto, gli ospedali Campani sono formati di tanti professionisti riconosciuti da tutti, che lavorano con dignità e amore.
Hai paura di questo virus? Come vivi questo periodo personalmente?
Ognuno affronta a modo sua la paura del contagio, ma come ci ha sempre insegnato nostro padre: “bisogna avere una sana paura” ossia, una paura che ti fa stare allerta ma che allo stesso tempo non ti rende schiavo.