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L’incanto della Grotta della Dragonara. Intervista al custode, Salvatore Greco | Gli articoli di Vincenzo Giarritiello

Dopo aver letto l’intervista che molti anni fa feci a Carlo Santillo, all’epoca custode della pseudo grotta della Sibilla sul lago d’Averno, la scrittrice Annamaria Varriale mi chiese se conoscessi la Grotta della Dragonara e fossi interessato a intervistare Salvatore Greco il suo custode. Ovviamente risposi di sì! Questa è l’intervista che effettuai a metà gennaio di quest’anno e che pubblicai sul mio sito www.vincenzogiarritiello.it.

Ho deciso di riproporla su QuiCampiFlegrei.it, ritenendola di assoluta attualità e dar modo a Salvatore e alla “sua” grotta d’essere conosciuti da un pubblico più vasto.

Salvatore da quanti anni si preoccupa della grotta?

Da circa una ventina d’anni, ma la frequento da quando ero ragazzino: durante la seconda Guerra Mondiale, fu utilizzata come rifugio. Vi entravano circa duecento persone. Per quasi un mese vi entrammo e uscimmo per ripararci dai bombardamenti. Per renderla vivibile, i nostri genitori dovettero coprire le vasche d’acqua sorgiva con palate di terra.  

A che epoca risale?

Tra il primo e il secondo secolo dopo Cristo. La grotta originariamente era una cisterna d’acqua al servizio della flotta romana di stanza a Miseno. Diversamente dalla Piscina Mirabile, in cui l’acqua veniva riversata per far fronte alle esigenze militari, questa è una sorgente naturale dove veniva raccolta anche l’acqua piovana.

Come ha iniziato questa attività?

Per lavoro e per passione, mi trovai a partecipare agli scavi per liberarla dal terreno che la ricopriva. La prima volta fu negli anni settanta, quindi nel 2006 con l’arrivo dei soldi della comunità europea. In questo secondo caso lavorammo di buona lena, impiegando oltre due anni e mezzo per liberarla dal terreno che vi era stato accatastato o gettato dalle aperture ancora visibili sulla volta. Ogni giorno uscivano dalla grotta trentacinque camion carichi di terreno. Ora potete ammirare le vasche colme d’acqua, ma all’epoca era tutto ricoperto da terra e sabbia. E poi, scavando, abbiamo trovato tanti reperti appartenenti alla Villa di Lucullo costruita sul terreno sovrastante. Chi li aveva scaricati, non aveva capito di cosa si trattasse e del valore che avessero quei resti.

Come l’è venuta l’idea di inventarsi custode della grotta?

Mio padre faceva il muratore e io fin da ragazzino ho lavorato al suo fianco. In questo modo ho avuto la possibilità di venire a contatto con tante antichità di epoca romana al cui fascino non sapevo resistere. Laddove, scavando, venivano fuori resti antichi, mi precipitavo ad ammirarli. Addirittura una volta mi capitò di trovare delle lucerne, una romana e una greca. Quando poi gli archeologi iniziarono a venire in questi luoghi per scavare e recuperare i tesori sepolti, non solo partecipavo agli scavi, ma prestavo attenzione a quanto dicevano, memorizzandolo per poi ripeterlo a mia volta ad amici e parenti. L’ingresso originale della grotta era situato più in alto rispetto a dove noi ora ci troviamo. Vi si accedeva scendendo da una rampa di scale di cui oggi restano poche tracce sulla parete. All’epoca della guerra da lì entravamo. Se guardate in alto, in direzione di quell’apertura, potete vedere alcuni degli scalini originari.

L’acqua che riempie le vasche è potabile?

Sì, è acqua potabile di cui ci siamo serviti per bere e cucinare fino agli anni ottanta. Poi iniziammo a notare che dall’acqua si levava un cattivo odore e capimmo che qualcosa che non andava. Per prudenza non la bevemmo più. In seguito sapemmo che alcuni di quelli che in passato avevano costruito al di sopra della grotta vi avevano incanalato abusivamente le fogne. All’epoca della guerra, dopo aver interrato le vasche, i nostri genitori costruirono una pozza artificiale in cui convogliarono l’acqua per poterla utilizzare quando ci rifugiavamo, gettandovi dentro delle anguille perché ne garantissero la purezza dato che quest’animale ha la capacità di filtrare l’acqua. Anch’io ne gettai alcune quando scavammo per liberare la grotta dal terreno. Oggi nelle vasche ve ne è una piccola colonia.

Perché la grotta è chiamata della dragonara?

Per il rumore che faceva l’acqua precipitando all’interno dalla villa di Luccullo e quello che si levava mentre scorreva nel sottosuolo al quale i greci davano l’appellativo di Drakon, dragone. Altrettanto i romani, nell’udirlo, si chiedevano se all’interno non vi fosse un drago. Così decisero di chiamarla traconaria, da cui l’attuale dragonara.

A che epoca risale quella scritta? (fisso lo sguardo su una delle pareti delle vasche dove appare una scritta in rosso).

Risale al 1600, quando la grotta fu riaperta per la prima volta: indica il nome di chi vi entrò per primo, un francese, Ienkerbarger. Almeno così rispose l’archeologo al quale chiesi spiegazioni. Ma poiché quel nome ha un suono tipicamente tedesco, sapendo quanto odiassi i tedeschi, ho sempre pensato che mi avesse amichevolmente mentito. Il colore è ricavato da sostanze vegetali che ne hanno garantito la nitidezza e la durata nel tempo. Dietro a un altro pilastro vi è invece la firma di Aniello Falcone, il famoso pittore napoletano.

La grotta è collegata con la Piscina Mirabile?

No! La grotta è una cisterna naturale mentre la piscina è un serbatoio in cui l’acqua veniva inglobata artificialmente. Sembrerà strano, ma come dimensioni la grotta è due volte più grande della piscina, anche se non sembra perché i suoi pilastri sono enormi rispetto a quelli della piscina che furono scavati dando vita a delle vere e proprie navate di una chiesa. Inoltre la piscina pare più grande perché si innalza molto di più in confronto alla grotta. Tuttavia, pur essendo più grande della piscina, la grotta raccoglie giusto la metà dell’acqua: seimila metri cubi rispetto agli oltre dodicimila/300 metri cubi della piscina. 

Salvatore sono circa vent’anni che si occupa della grotta, si è mai posto il problema un domani chi la sostituirà?

Purtroppo al momento non sono riuscito a individuare nessuno. Ho due figlie, una fa la restauratrice e l’altra l’insegnante. Non credo saranno loro a occuparsene.

Quali sono le sue speranze per la grotta?

Mi piacerebbe che quando contatto la sovrintendenza, l’unica vera responsabile della grotta, per segnalare problemi o criticità, si attivasse tempestivamente per installare almeno qualche punto luce in più visto che, essendo in penombra, la grotta perde molto del proprio fascino e bellezza ed è facile preda di malintenzionati: all’interno vi era una meravigliosa conformazione di stalattiti che qualche delinquente ha staccato per portarsela via come souvenir… Qui in visita vengono tanti turisti, per lo più stranieri, che restano incantati dalla grotta. Perché chi deve garantirne la tutela sembra infischiarsene?

Già, perché?…

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Vincenzo Giarritiello
Nato a Napoli, ma da oltre vent’anni residente a Pozzuoli, Vincenzo Giarritiello alterna all’attività di scrittore quella di giornalista per passione. Nel 1997 ha pubblicato “L’ultima notte e altri racconti” e nel 1999 “La scelta”. Nel 2017 ha ristampato “La scelta” e nel 2018 ha pubblicato il romanzo breve “Signature rerum” ambientato nei Campi Flegrei. Nel 2019 ha stampato “Le mie ragazze rom scrivono” e “Raggiolo uno scorsio di paradiso in terra”. Nel 2020 ha editato la raccolta di racconti “L’uomo che realizzava i sogni”. Ha pubblicato con le Edizioni Helicon il romanzo “Il ragazzo che danzò con il mare”. Ha collaborato con le riviste online “Giornalewolf.it” e “Comunicare Senza Frontiere”; con quelle cartacee “Memo”, “Il Bollettino Flegreo”, “Napoli Più”, “La Torre”. Fino al 2008 ha coordinato laboratori di scrittura creativa per ragazzi a Pozzuoli e all’Istituto Penitenziario Minorile di Nisida. Attualmente collabora con l’associazione culturale Lux in Fabula con cui ha ideato la manifestazione “Quattro chiacchiere con l’autore”. Nel 2005 ha attivato il blog “La Voce di Kayfa” e nel 2017 “La Voce di Kayfa 2.0”. Dal 2019 è attivo il suo sito www.vincenzogiarritiello.it
http://www.vincenzogiarritiello.it

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