Originario di Pozzuoli Gianluca Papadia si è sempre distinto con i suoi racconti in chiave tragicomica e con un’ironia disarmante, perché è fermamente convinto che nel cuore di tutti gli esseri umani vi è sempre una piccola “fiammella” di speranza nonostante le avversità della vita.
Il suo ultimo libro “La crociera” narra attraverso i vari fatti di cronaca, le paure di un papà alle prime armi, l’amore per la sua donna e le contraddizioni della città di Napoli.
Ha rilasciato a Noi di Qui Campi Flegrei un’intervista, il suo rapporto con i Campi Flegrei e il la città partenopea.
Pozzuoli e Napoli sono due comuni confinanti, ma che hanno delle peculiarità ben diverse, hanno avuto influenze sul tuo modo di scrivere?
Pozzuoli è un piccolo paese di provincia situato a ovest di Napoli. Questo sano provincialismo di frontiera m’ispira personaggi insicuri, spaventati dalle contraddizioni di quella grande metropoli che si trova a due passi da loro. Allo stesso modo, vivere a Napoli, serve a dipingere personaggi sicuri di sé che non hanno paura di niente e affrontano la vita a muso duro. L’equilibro sottile tra queste due anime contrapposte ha sicuramente una forte influenza sul mio modo di scrivere.
Hai avuto molti riconoscimenti ed immagino che per te è sempre una grande soddisfazioni. Nella vita ogni passaggio offre un’opportunità, ovvero di crescita, qual è stato il riconoscimento che proprio non ti aspettavi? E a chi lo dedichi?
Il premio più inaspettato è sempre stato il primo posto al premio Firenze nel 2010 con il mio testo teatrale “Nel bluff dipinto di bluff”. Il presidente di giuria era Valerio Valoriani, un mostro sacro del teatro contemporaneo italiano scomparso due anni fa. È stata la molla che mi ha fatto capire che dovevo coltivare la passione per la scrittura. Oggi come allora lo dedico a mia madre che mi ha trasmesso l’amore per il teatro.
Quale scrittore di teatro ami?
Quando inizi a scrivere cerchi sempre uno stile sofisticato. Pensi che i tuoi personaggi debbano usare frasi raffinate ricche di metafore, poi ti capita un testo tra le mani di Eduardo De Filippo e capisci che puoi usare anche un linguaggio semplice e diretto senza fronzoli. Vedendo De Filippo in televisione, purtroppo non ho avuto la fortuna di vederlo dal vivo, finalmente ho capito che nel teatro, come nella vita i silenzi sono più importanti di tante parole.
Nel 2019 hai partecipato al workshop di scrittura con Daniel Pennac nell’ambito del Napoli Teatro Festival. Cosa conservi di questa esperienza?
Dopo un anno ancora non ci credo, di aver conosciuto di persona uno dei miei autori preferiti. È stata indubbiamente una delle esperienze più belle della mia vita. In quel workshop Daniel Pennac ha raccontato tanti aneddoti che custodirò per sempre nel mio cuore. Ha svelato alcuni trucchi per trovare l’ispirazione quando ti trovi davanti al foglio che ho già messo in pratica con ottimi risultati. Quando mi sono candidato per la selezione, non capivo perché l’incontro fosse di lettura e scrittura, ma dopo pochi minuti Daniel Pennac mi ha tolto ogni dubbio. Lui voleva farci capire l’importanza della lettura per uno scrittore. A ognuno di noi era stato chiesto di portare un libro che avesse un significato particolare nella nostra vita. Lui non solo li conosceva tutti, ma riusciva con poche parole a spiegare il senso più profondo. Questo è stato l’aspetto più sconvolgente del workshop.