Si legga a questo proposito l’esperienza raccontata dal Della Porta sul modo di osservare le stelle in pieno giorno,a mezzogiorno, in piena luce stando in una cantina oscura e guardando da un piccolo foro. Quella che ancora oggi migliaia di spettatori possono fare guardando dal pozzo di san Patrizio. Oppure la pagina dedicata appunto all’esperienza della camera oscura, dove questo campo di esperienza appare come effetto di una lanterna magica, mentre in realtà è l’esperienza stessa che si rappresenta come tale:” se alcuno desiderasse questo, serri tutti gli spiragli acciò che entrando in casa qualche poco di lume non gli guasti l’opera, e una solamente ne bucherai con la trivella ma farai in modo che il buco abbia figura di piramide tonda del quale la base sia verso il sole e il cono verso la stanza. All’incontro vi metterai lenzuoli bianchi o fogli acciocché ogni cosa sia poi illuminato dal sole, che tu vedrai gli uomini che camminano per la piazza come antipodi e quelle cose che sono destre ti parranno sinistre e ti parrà ogni cosa alla rovescia e quanto più sono lontani dal buco parranno maggiori. E quanto più sono vicini tanto minori, non di meno avvertisce che bisogna aspettare un poco, perché non così tosto appariscano le immagini…” (Magia naturalis, libro IV. Edizione del 1558).
Sembra di stare seduti in un cinema parrocchiale di periferia e guardare uno schermo fatto con un lenzuolo bianco. Ci manca solo la lente al posto del piccolo foro a cono che Della Porta comunque aggiungerà nell’edizione maggiore, quella del 1589.Già Girolamo Cardano aveva suggerito di porre la lente di vetro al foro della camera oscura, ma pochi lo sapevano perché ben pochi leggevano i suoi scritti , come suggerisce Vasco Ronchi (Storia della luce.Laterza .Bari). Camera oscura, foto grafia. Ecco cosa lo stupisce: il campo dell’evento della luce, vista dal buio, catturata dentro l’immagine oculare. Come quando da bambini, d’estate, socchiudevano gli scuri, lasciando filtrare nella stanza un esile filo di luce, proiezione piramidale di un campo d’ infinito. Il gioco della luce, il gioco della “nube d’atomi”, fotoni nebulizzati in pacchetti d’onda che si propagano in uno spazio che circonda un corpo.
Dunque il mago è colui che compie questo rito: fa emergere alla consapevolezza, alla coscienza la magia del naturale, colui che prende, stacca il ramo d’oro della conoscenza, dal buio di una coscienza infera alla luce della sapienza filosofica. La sapienza di Orfeo che discende agli inferi e col suono della lira incanta il Cerbero salvando la dolce Euridice. Oppure gli auguri romani ed etruschi, all’alba della civiltà, che scrutano il volo degli uccelli traendone auspici. Così il mago Virgilio descrive questa ars mathematica, quest’arte di combinare indizi labili in una semantica dell’apparire, un linguaggio fruibile e fruito, conosciuto. Un sapere indiziario.Come in Alberto Magno, Bernardo Silvestre, Alano di Lilla, Ildegarde di Bingen. Così descrive Della Porta questo linguaggio nascosto, occulto, che il mago compiendo il rito dell’osservazione e dell’esperienza, ripete divulgandola, la magia intrinseca alla natura. La rende evidente.
Galilei, Keplero, non osano tanto, non menzionano nemmeno la grandezza immaginativa di Giordano Bruno. Della Porta sì. E’ il grande Inquisito. Galilei ha paura, Copernico e poi Keplero pure. L’olezzo del cadavere abbrustolito di Giordano, domenicano di Nola, napoletano, nel 1600 in Campo dei Fiori a Roma, è lì a ricordare a scienziati, filosofi, maghi e artisti eretici, che c’è Il Guardiano della superstizione,il Grande Inquisitore, la Chiesa non riformata anzi controriformata che non permette nessuna esperienza della natura magica e profetica dell’Evento. Della Porta è inquisito e prosciolto e poi di nuovo sospettato di stregoneria. Scompaiono i sottotitoli al Magia naturalis per paura dell’equivoco : i miracoli sono una forma di Magia?
Nella città del Santo Januarius,Gennaro, il guardiano della Porta ( questo è il nome latino del santo), dello stregone , mago e taumaturgo venerato dal popolo come sciamano guaritore,nella città più greca d’Italia, Napoli, che ancora parla un dialetto poco italiano e assai indoeuropeo, in cui sortilegi e vaticini si mescolano ad una cabala esoterica di una vasta comunità ebraica, dove si venerano ancora il dio Nilo e il culto di Serapide, è fin troppo pericoloso. Pericolo ben intuito: di ben altro peso e timore nell’opera di un miscredente e libertino, nonché cultore di cose occulte e mago della chimica alchemica, di sangue nobile, come sarà poi Raimondo di Sangro, Principe di San Severo.