Lo Schiacchetiello, piccolo angolo di paradiso a Bacoli, precisamente una spiaggia (oggi solo mare) che collegava, fino al 1966, l’isola di Pennata, alla costa.
Lo Schiacchetiello è il luogo che mi ha fatto amare i Campi Flegrei.
Un racconto per ricordare
Sono napoletana ed ho vissuto tutta la mia vita in questa città, ma ho sempre amato i Campi Flegrei.
Da bambina mia madre, dal mese di giugno a settembre prendeva in affitto una casa in un posto oggi molto conosciuto ma negli anni ’50 sconosciuto a molti: Punta Pennata.
A Pennata c’era allora solo un casolare contadino dipinto di rosa affacciato sul golfo di Miseno.
Per andare a mare a volte scendevamo la scaletta, “sgarrupata“, che portava a mare.
Sotto la scaletta, dove oggi c’è una spiaggetta, c’era solo una lingua di sabbia ricoperta di sassi e due scogli naturali dai quali ci tuffavamo. Ricordo che raccoglievamo con i retini granchi, gamberetti rosa e cavallucci marini, che mio padre ci faceva ributtare in acqua perchè erano troppo piccoli ed “era peccato” pescarli.
Per raggiungere lo “Schiacchetiello” scendevamo un viottolo di campagna che in pochi minuti ci portava sulla spiaggia quasi deserta.
Oggi questa spiaggia non esiste più perché una mareggiata nel novembre del 1966, lo stesso anno dell’alluvione di Firenze, l’ha portata via, ma allora era una lingua di sabbia che univa l’isolotto di Pennata alla terraferma con il mare che lambiva tutte e due le rive.
In mezzo era cresciuta una vegetazione selvatica che nascondeva la vista dei due “mari”. Noi ci sistemavamo dal lato interno che guardava verso Bacoli.
Che giornate!
Mia mamma, grande donna, ogni estate ospitava le sue sorelle Rita e Maria (che chiaramente erano spesso raggiunte dai fidanzati), una cugina di mio padre “Teresa”, e spesso veniva con noi una nostra cugina “Marietta” che da molti anni non vedo perché vive in America.
Noi bambine (siamo tre sorelle) vivevamo un’estate all’insegna della libertà.
Con indosso solo i costumini cuciti da nostra madre, ricordo i colori e volantini, giocavamo giornate intere nelle campagne con i bambini del posto, correvamo tra i filari di pomodori che coglievamo dalle piante e che mangiavamo così crudi. Mah!
La sera si usciva e si raggiungeva la Villa Comunale e si trascorreva la serata passeggiando o guardando la televisione al bar di “Ninocco”.
Forse dopo tanti anni confondo i nomi ma sicuramente ricordo che Ninocco era un giovane molto bello (forse per i canoni di allora) e tutte le ragazze di Bacoli erano innamorate di lui.
Ma che vacanze…..
Allora Pennata non aveva ancora l’acqua corrente, si usava l’acqua del pozzo e spesso la sera andavano a riempire dei boccioni enormi di vetro alla fontanina della Chiesa di San Sossio. Partivano con la barca a remi di sera i figli della proprietaria “Ninella” e quando potevano le mie zie e Teresa li accompagnavano.
Noi bambine, sentivamo dall’alto le loro risate e i loro canti.
Mio padre che amava la pesca subacquea, ci raccontava che il pomeriggio restava affacciato alla terrazza aspettando il passaggio dei pesci così scendeva accompagnato dal figlio minore di Ninella, Peppino, che lo chiamava zio Mario, e con la barca lo accompagnava a pesca. Non se se è il racconto di pescatore, ma beh magari è vero e l’acqua doveva essere cristallina.
Ho fatto poi molte altre vacante in seguito, ma ancora oggi quando con le mie sorelle ricordiamo quelle estati, ci tornano in mente i volti, i luoghi, gli odori di un paradiso che non c’è più.
Non distruggiamo quello che di bello ci circonda. Lasciamo ai nostri figli la possibilità di costruire i loro ricordi con cose belle, storie belle, luoghi belli.
Se vogliamo provare a dare un senso a questa tragedia del Coronavirus, forse, può insegnarci a frenare, non per noi che siamo adulti, vecchi e una vita bene o male l’abbiamo già vissuta, ma pensiamo ai nostri figli, ai nostri nipoti. Lasciamo che anche loro si creino un bagaglio di storie, STORIE.
Sono quelle a cui ci si aggrappa nei momenti difficili. I ricordi, quelli belli, quelli vissuti insieme a persone che amiamo, i luoghi che amiamo.
Stiamo riempiendo il loro tempo a casa di lezioni online, seduti davanti ad un video. Certo è importante, ma siamo certi che, se perdono due mese di scuola diventeranno persone ignoranti?
Magari sarebbe bello utilizzare una parte del loro tempo a parlare con i genitori, costruire storie con loro, ricordi con loro prima di riprendere la vita caotica moderna.
Qualcosa da raccontare dopo il cosiddetto “Lockdown”, a cena, ad esempio, nel 2040: Mamma ti ricordi quando……., nonna ci racconti quando…, che risate quando….!
Ma forse le mie parole sono solo un racconto da vecchia degli anni ’50!
Stamattina c’è stata la conferenza stampa per il lancio del 10°censimento nazionale “I Luoghi del Cuore” FAI. Al termine della conferenza è stato presentato un video con i testimonial del censimento 2020, personalità dello spettacolo e dell’arte tra i quali i partenopei Alessio Boni, Vincenzo Salemme, Marisa Laurito e Serena Autieri.
Sappiate che il luogo del cuore di Vincenzo Salemme è proprio lo Schiacchetiello. Grazie Vincenzo.
Ma che significa Schiacchetiello
Probabilmente è un nome onomatopeico, dovuto al suono degli zoccoli che sbattono sugli scalini dello stretto e scosceso passaggio che dall’alta strada che borda la Piscina Mirabils conducono al mare.
La discesa porta al minuscolo isolotto della Pennata, raggiungibile anche con una barca.
Pennata
L’isoletta di Pennata ricca di bellezze naturali, storiche e culturali, offre una vista incantevole fa parte del Parco Archeologico dei Campi Flegrei (PA-FLEG).
Diversi ritrovamenti archeologici, fanno pensare alla presenza di un complesso residenziale, noto come Villa Lucullo.
Ottaviano in occasione del conflitto con Sesto Pompeo notò l’importanza strategica del litorale flegreo per la flotta e così, a partire dal 37 a.C., iniziò la costruzione di un grande porto militare lungo la costa di Lucrino, il Portus Iulius.
Nel dicembre del 1921 furono ritrovati, tra Punta Pennata e l’altura soprastante la spiaggia del Poggio, 22 pezzi e frammenti di sculture, alcuni dei quali si trovano al Museo Archeologico Nazionale di Napoli.
Classis praetoria misenensis
Purtroppo per problemi di insabbiamento del Lucrino dovuti al bradisismo Ottaviano fu costretto, verso la fine del I sec. a.C., a trasferire parte della flotta romana in un luogo diverso.
La scelta ricadde su Misenum perchè era un golfo naturale, facilmente difendibile e adatto ad ospitare la flotta che dagli inizi del II sec. verrà chiamata con il titolo di classis praetoria misenensis.
Dionigi d’Alicarnasso ricorda il vantaggio di Cuma, alla quale apparteneva il territorio del futuro porto romano, nella battaglia del 474 a.C. contro gli Etruschi.
Negli anni sono state fatte molte indagini archeologiche nell’area del porto sommerso di Miseno tra Punta Pennata e Punta Terone.
Parti del molo che chiudeva il porto a Punta Terone sono parzialmente coperto da una scogliera moderna.
Probabilmente questa serie di pilae (erano poderosi pilastri che sostenevano il molo), chiudeva l’imboccatura del porto di fronte ad una strutture uguale che partiva dalla punta di Pennata.
Un’altra successione di otto pilae si trova all’estremità opposta dell’isolotto di Pennata, di fronte ad un molo che partiva da Punta Sarparella, creando un secondo sbarramento della baia portuale.
Sono famosi i due tunnel scavati per il porto romano nella roccia, chiamati “Grotta del corallo” e “Grotta di Nerone”, che servivano a far circolare le acque per evitare l’insabbiamento del Porto di Miseno e, forse, erano usate come vie di comunicazione.
I miei ringraziamenti a Cristiano Finizio (Digital Creator, Graphic Designer, Photographer, Diver, Fitness addicted” e Silvio Campana (Drone Air Cam) per l’uso delle immagini e del bel video.
In particolare ringrazio l’amico e archeologo, Gervasio Illiano per l’uso dei contenuti della suo bel lavoro.
Bibliografia:
Gervasio Illiano, Città e territorio nella penisola di Misenum, 2019