Il rito indoario romano della fondazione
Il giurista Gaio ricorda che era definito sacer il terreno o l’edificio che fosse designato tale da una legge approvata dal popolo romano. Il concetto di spazio urbano e i riti di fondazione della città esprimono la volontà esplicita di delimitare un’area in cui si manifesterà la volontà degli dei protettori della città e non altri. Spazio urbano sacro perché protetto dagli antenati e dagli dei cui è dedicata la città stessa. La purificazione dello spazio è dunque una precondizione affidata ai magistri augurales, ai sacerdoti che conoscono la disciplina e le tecniche dell’effatio (parola magica, formula magica che definisce il luogo) e il rito della liberatio, la cacciata dei demoni contrari alla città, formule magiche che liberano l’area stessa dall’influenza maligna, nefasta dopo che è stato tracciato il sulcus primigenius con un aratro trainato da un toro e una mucca. Questa prima parte del rituale serve a delimitare l’area nella quale il sacerdote romano trae gli auspicia urbana, i segni positivi o negativi mandati dagli dei. La parte restante della superficie urbana rimane però civile, profana ed è lo spazio intra-moenia, e dunque abitabile. Sono sacre solo la cinta muraria e il suo pomerium, la fascia di terra dentro al solco stesso e fuori del solco stesso che non può essere abitato e che in qualche modo delimita il confine tra l’interior e l’exterior del luogo sacro stesso alla comunità. Dunque è una topografia sacra che definisce lo spazio sacro da ciò che non lo è, la sua totemizzazione e il suo tabù. E’ un locus effatus et saeptus secondo il rito antico, more parentum, il costume degli antenati. Il termine ritus indicava l’ordine ufficiale dei gesti sacri, il rituale della consacrazione, della fondazione e del sacrificio. Erano cioè sacra, i riti sacri.
Il rito indoario romano della fondazione
Di questo ed altro ci parla il libro VI dell’Eneide, cioè dell’iniziazione ad un rito di nekyomanzia, di catabasi tipico dello sciamanesimo dionisiaco e orfico, attestato ampiamente per l’area analoga della Misia-Lidia e della Troade tracica, in particolare con i culti del tempio di Hierapolis in Frigia, in Anatolia, nel luogo di connessone se non di origine, con l’origine propria del culto tragico-dionisiaco, la Tracia balcanica, da Mircea Eliade e Dumezil. Virgilio dunque e il libro VI dell’Eneide è la memoria più recente, primo secolo prima di Cristo, raccolta da Virgilio sui luoghi napoletani e flegrei e nel suo ultimo viaggio in Grecia – su questa memoria religiosa antica – prima di morire sulle sponde pugliesi e seppellito per sua volontà a Napoli, sulla via che da Mergellina porta alla baia flegrea. Non poteva essere dunque se non Cuma, e il capo di Miseno la messa in scena della discesa agli inferi di Enea, eroe Troiano sconfitto proveniente dalla guerra di Troia nella troade misia contro gli Achei del Peloponneso, alla ricerca di un incontro col padre Anchise (solo un cenno prefigurato nel libro III da Eleno altro sacerdote indovino che lo invita a rivolgersi alla Sibilla a Cuma), che non aveva fatto in tempo a dirgli quali destini gli riservava quel viaggio sulle rotte del Tirreno. Anchise muore prima di poter dire ad Enea la profezia tragica ed eroica delle genti asiane nel Lazio. E la fantasia religiosa di Virgilio ricostruisce, poeticamente, il rito di iniziazione attribuendolo ad Enea, in due fasi preliminari, in due fasi centrali e in due terminali, questo rito che Van Gennep sottoscriverebbe come originale se se ne fosse occupato come tale, come rito sciamanico religioso di iniziazione alla catabasi. Ma a questo hanno posto rimedio Fraser ed altri e per ultimo con certezza d’acume Pugliese Carratelli, riconoscendolo come tale, anche se dentro lo specifico contesto cultuale orfico. Dunque anche l’orfismo va ricondotto ai culti originali, di religione primigenia non olimpica e non politica dell’area traco-misia, trasmesso tal quale dal profetismo sciamanico della Sibilla cimmeria a Cuma, del cui lontano deposito misio-teutranico è attestazione nel territorio e nella topologia nomica, oltre che nella memoria e l’ immaginazione poetica di Stazio (Silvae, III, V 74-5) e Nevio (Bell. Punicum fr. 18B). Tutta la scena è in questo clima e in questo ambiente che ben collima con l’amore georgico di Virgilio, originario ricordiamolo di un territorio contadino e cimmerio, gallico, nordico, come il mantovano. La scena sono i boschi e gli anfratti dell’Averno e di Cuma, il rito è scandito da testimonianze telluriche chiaramente epifaniche del dio Poteidon e di Demetra/Ecate. Ricordiamo qui che la riade Poseidon/Plutone, Hera-Demetra e Kore/Persefone, e Dioniso-Zagreus si contendono il dominio ancestrale della terra come scuotimento, del suolo tellurico e cavernoso e delle fonti di zampillamento, già nella Teogonia di Esiodo e nei miti correlati alle origini greche. La scansione dei tempi della scena sacrale, epifanica nel doppio aspetto di profezia oracolare e nekyomanzia (divinazione per consultazione dei morti), vera e propria ierofania, manifestazione del sacro, avviene in questo modo: Una fase preparatoria a) ricerca e contatto con la sacerdotessa di Apollo, la Sibilla; possessione (enθousiasmòs) e primo oracolo della profetessa b) condizioni della discesa agli inferi, prescrizioni rituali: 1) purificazione dell’intorno col seppellimento more parentum, secondo il costume degli antichi, del cadavere di Miseno sull’omonima spiaggia; 2) la ricerca e lo spicco del ramo d’oro, quale munus alla Iuno infera, Proserpina. c) L’epifania di Ecate Trivia, che annuncia l’avvento della Notte La “catabasi” a) L’ingresso in antrum, – in ferum – nell’Oscuro (catabasi), dove Enea e la Sibilla si intrattengono in un vestibolo pre-Ade, primo incontro con le anime infere e attraversamento dell’Acheronte, dopo aver mostrato a Carun il ramo d’oro b) Incontro con Didone e gli eroi troiani morti c) L’Aurora annuncia che il tempo della Notte sta scadendo d) Enea e la profetessa presso le porte dell’Ade. Enea appende alle porte dell’Ade vero e proprio il ramo d’oro. e) Enea al bivio tra Tartaro e Campi Elisi. Incontro con Museo che lo conduce da Anchise che gli predice quanto avverrà nel Lazio e gli espone la dottrina orfica della purificazione lethéia, nel fiume dell’Oblio, – catarsis lèthaia – e dell’incarnazione e delle rinascite che regge tutto l’universo (la dottrina del sēma soma). La “anabasi” a) L’uscita ab antro – ab fero – (anabasi) verso la luce del Giorno (Dyaus) attraverso le due porte del Sonno oltre i Sogni illusori. Anchise, il padre di Enea li accompagna fin alle soglie e li fa uscire dalla porta d’Avorio, la porta delle ombre sottili, illusorie. Come ben si vede qui il tracciato della città infera è la costruzione di un labirinto dedalico che giustifica l’iscrizione sul tempio d’Apollo dell’epigrafe che ricordava l’approdo di Dedalo nella città cumana e la costruzione del tempio attribuita a Dedalo stesso.
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