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Napoli vista da lontano | Ad un lustro dalla scomparsa di Pino Daniele

Ricordo ancora il giorno in cui appresi la notizia. Ero sula A1 in direzione Milano.  Avevo trascorso le vacanze di natale a Napoli con la mia famiglia e mi apprestavo a rientrare al nord dove avevo trovato lavoro. La notizia uscì improvvisa dall’autoradio: Pino Daniele non c’era più. Fu un colpo. Soprattutto per chi (tanti) erano cresciuti ascoltando le sue canzoni. Ma anche per chi (sempre tanti) avevano cominciato ad avvicinarsi allo studio di uno strumento musicale attraverso la sua musica. Io ero uno di questi.

Trascorrevo ore chiuso nella mia stanza a “tirar giù” dai dischi accordi e note. I primi complessini. Non sapevi ancora suonare ma ti cimentavi con i suoi pezzi. Ricordo ancora, sembrerà incredibile, la prima volta che l’ho ascoltato. Mio padre, emigrante dalla Sicilia, comprò su una bancarella una cassetta (rigorosamente pezzotta) con il meglio dei primi due album. Fui conquistato subito da quei suoni, da quelle atmosfere. Da lì in poi non l’ho più abbandonato. Semplicemente la sua musica ti rimaneva addosso. Paradossalmente ricordo anche la prima volta che ascoltai un altro cantautore …

Appena lo ascoltai cantare con voce strascicata “coca cola…per l’uomo che non deve chiedere mai!” la mia antipatia fu subito manifesta! Ma sto divagando. Dicevo di Pino Daniele e della sua musica.

Il suo lascito è stato importante ma a qualcuno forse è sfuggito uno dei lati più importanti della sua cultura musicale: quello di scambiare le sue esperienze con musicisti provenienti da tutte le parti del mondo. Di contaminare il suono prettamente partenopeo con quello africano , americano, cubano… Ecco! Penso che l’eredità più grande che ci ha lasciato “zio Pino” sia stata proprio questa: che le culture diverse, quando si incontrano, ti arricchiscono sempre e ti apriranno sempre la mente verso nuovi orizzonti.

Artù

con questo articolo inizia la collaborazione con Artù, un’artista che vede “Napoli da lontano”

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Redazione
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