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Filoellenismo ed ellenismo greco romano in Campania e nei Campi Flegrei (IV parte)

Nella rassegna fatta finora, nei precedenti tre articoli, abbiamo dato conto di un processo che si articola nei secoli e che va dal IV secolo avanti Cristo fino ed oltre la caduta dell’impero romano, la cultura ellenistica, nelle dimensioni di una estensione culturale vastissima ma che poi prende con Roma capitale di un impero altrettanto vasto i caratteri ellenistici greco romani. Roma e la Campania in particolare e i Campi flegrei, riuniti sotto Augusto nella prima regio, diventano il centro di risonanza di una cultura che ha un marchio d’origine, la grecità, e zone di coniazione originale in ogni regione dell’impero. Certamente l’Asia e il Vicino oriente contribuirono a questa culturalizzazione dell’ecumene in modo significativo, dettandone lo stilema principale, la universalità, nella rappresentazione che le città davano di sé, come vincolo e scenario; ed ampio spazio abbiamo dato alla cristianizzazione quasi contemporanea all’Impero stesso fino alla costituzione di religione dello stato romano con Costantino, dopo una persecuzione durata oltre due secoli. Universalità che ha nello ius gentium il suo cardine: tutte le nazioni hanno diritto di cittadinanza presso Roma.

A prescindere dai conflitti locali spesso durissimi nell’Impero con i popoli fieri e ribelli che non accettarono mai la pax romana come i Parti e gli Ebrei, che comunque ne subirono il fascino, pensiamo ad Erode il Grande, l’universalismo ellenistico romano fu insieme forma e veicolo della grecità nella sua esperienza più matura. Ne abbiamo dato gli assiomi principali dando conto delle articolazioni campane e flegree, adesso occorre andare al cuore del problema: la diffusione della cultura greca attraverso la filosofia ellenica ed ellenistica, le sue ancora fiorenti scuole di filosofia, e la letteratura (la poesia in primo luogo) che trovarono nella Magna Grecia il loro naturale alveo. E Napoli, la cui grecità è indubbia nella storia e nella leggenda, fece la sua parte ospitando filosofi ellenici, dando natali a poeti di ispirazione filoellenica, ospitando forse il più ellenistico e romano poeta che l’antichità ci abbia lasciato, Virgilio, che scelse Napoli come sua residenza abituale. La storia di Napoli andrebbe studiata a parte e ha avuto nel corso del tempo validissimi studiosi locali ed internazionali che ne hanno illustrato l’originalità, la forza e la polivalenza del suo carattere di essere città e città stato e una delle diramazioni internazionali del Mediterraneo. Ma qui a noi interessa delineare non solo la storia ma la mappa, la cartografia semantica del suo essere carattere originale ed in qualche misura originario. Tanto per intenderci solo un genio della filosofia metafisica del reale, addirittura fondatore della epistemologia semantica moderna, G. B. Vico poteva nascere in questa favolosa città e solo la sensibilità poetica del Leopardi poteva onorarla fino in fondo.
Dunque Virgilio, nato in un villaggio agricolo del mantovano, scelse Napoli e i Campi flegrei come luogo privilegiato per la sua immaginazione e ispirazione poetica, nel nesso causale più proprio alla cultura filoellenica ed ellenistica greco romano. Virgilio e non Orazio o Silio Italico, o Stazio che pure hanno con la grecità e il grecismo una notevole frequentazione e vi è un motivo che proveremo a dire.

Virgilio precede Leopardi (e G.B.Vico) in una grande opera di documentazione e di ricerca di ciò che lui stesso chiamerà ‘l’antica madre’ che lo localizzano oltre che come poeta dell’immaginazione, come acuto filosofo-antropologo e dunque come esteta che è esattamente lo stilema ellenistico per eccellenza. L’estetica e l’esteticismo, nel senso proprio di una filosofia e di un gusto, è la vera acquisizione dell’ellenismo, il suo veicolo su cui fa scorrere la particolarità (si pensi alla pittura pompeiana) e alla generalità (si pensi alla impiantistica urbana, all’uso civico delle biblioteche e delle terme, alla spettacolarizzazione della scena antropica e territoriale ovunque questo fu possibile, come ad esempio il paesaggio, come ad esempio i Campi flegrei che divennero paesaggio, scenario per dirla alla francese, residenza oziosa e culturale ed infine mito).

Il mito e lo studio del mito e la fondazione di un mito particolare l’eneide, fu la grande opera, la grande operazione di cultura ellenistica di Virgilio, che solo, lo ripetiamo, il romanzo moderno e la ripresa di questo ambiente culturale in poesia, sapranno ridefinire come letteratura moderna dell’antico nel postmoderno.
‘La poesia ellenistica anzitutto: presente non solo in modo diretto col modello della musa pastorale, culminante in Teocrito, ma più ampiamente con le sue filosofie, con un modo di fare biografia nascosta, di far musica e di far letteratura con un calcolo sapiente degli effetti. E ancora alla moda, e assai poco romano, il disimpegno stesso del poeta, che in un mondo capovolto dal caso e turbato dalla realtà primaria delle armi non può che sentire la felicità di chi si conserva in un ambito primitivo di poche cose, come L’Ecale di Callimaco incontrata un giorno dalla gloria fragorosa di Teseo. L’innesto su queste squisitezze letterarie era ancora più semplice per chi aveva alle spalle i neoteroi ( i poeti nuovi d’ispirazione ellenistica) e ne condivideva la dislocazione territoriale; per chi poi a Napoli aveva incontrato il magico regno di Epicuro, ove tutto parlava di armoniosa fusione di affetti, di sereno e tacito abbandono del mondo’.(Carlo Carena. Opere di Publio Virgilio Marone. Introduzione.)


Dunque qual era il fascino di una terra greca e adesso ellenistica e romana, che attirava cesari, imperatori, intellettuali, filosofi, poeti in un dispendio di energie che erano morali, intellettuali per alcuni e per altri avventure commerciali ed economiche, vere e proprie fortune o ereditate o perché frutto di carriere politiche che avevano il segno dell’accumulo di rendite enormi, derivanti soprattutto dalla tassazione dei territori asiatici occupati? Dalla via dell’oro e dei commerci con l’Oriente? Con un temine in uso alla fine dell’800 e inizio del ‘900 in altri stati imperiali, diremmo la belle époque fatta di lusso, di sperperi, di avventure politiche e sentimentali, di congiure ed assassini rimasti famosi come crimini legati proprio alla società della lussuria oltre che del lusso dei principi. Basti pensare alle ville luculliane a Napoli e alle cene di Trimalcione, dal Satyricon di Petronio che riprende tutti i temi della commedia alessandrina, ad Asinio Pollione cui Virgilio dedicò alcune ecloghe, all’assassinio della madre Agrippina, così si dice, da parte del figlio Nerone sulla spiaggia di Bacoli presso quello Odeon di cui rimane ancora qualche significativa maceria e che si dice fosse il teatro preferito dal lirismo un po’ folle di Nerone, che amava esibirsi anche a Napoli, si dice nel teatro greco. Era in sintesi il dominio oramai conclamato del potere e del denaro dell’aristocrazia romana. Qui tra Baia e Pozzuoli dimoravano i Cesari, Cicerone che in questa terra scrisse le sue opere maggiori e che qui sognava di far rivivere la antica scuola platonica, qui erano di casa le più famose scuole di filosofia Attica e non, culti orientali e mistagoghi, sacerdoti del mistero orfico, legati ad apocalittiche fini del mondo, legate insieme da un rinnovato timore della morte e dell’al di là. Antico, origine troiane della gens Claudia, presente forza e potenza di un impero nascente e futuro, le premonizioni di una nuova era, dalle comunità ebraico-cristiane ai culti di Iside e religioni misteriche rinnovate nel neopitagorismo orfico in cui echeggiava il mito della Sibilla e dell’oracolo Delfico, tutto questo fu filtrato dalla mente onnivora di Virgilio, che passava il suo tempo a Napoli come in viaggio per l’Ellade e o in Asia Minore, a raccogliere informazioni proprio sulle leggende storiche e mitologiche del lontano passato e soprattutto del gusto esoterico tipico del medio oriente asiatico. Il puer infantilis della I e IV ecloga, questo nuovo mondo preconizzato, insieme all’altro mondo che sarebbe venuto, la nuova età dell’oro, funzionò da estremo catalizzatore di una miscellanea che ebbe in Virgilio l’autore sapiente e dotto che seppe narrare con gusto poetico eccezionale, molto meglio senz’altro di Apollonio Rodio, questo orizzonte antico del moderno, in quello che sarebbe divenuta la nuova estetica semantica dell’Impero romano, nella proiezione fantastica e a volte fantasmagorica del mondo a venire. Quel puer, quell’Agnus dei, avrebbe fra poco fatto parlare di sé nel mondo intero attraverso l’apostolato proprio in terre romane di Pietro e Paolo, in un’epica di altro segno ed altro senso. Ma qual era questo antico fragore che sollecitò Virgilio a scrivere in rime latine rimaste quasi perfette questa ‘apparire’ della coscienza moderna e che disseminò di sé il Medioevo e il Rinascimento? La favola, la leggenda e il mito dell’antico passato, dell’antica madre. Di un antico passato che echeggiava tra le mura greche di Cuma, di Napoli, di Paestum, di Elea. Leggenda popolare e sapiente scrittura algoritmica della scienza e della filosofia, il massimo che l’epoca potesse esprimere, nella visione alessandrina, tolemaica del mondo che l’ellenismo aveva inaugurato. A lui dobbiamo la prima formulazione della discesa agli inferi di Enea, che segue il rito orfico per eccellenza, la catabasi come ispezione e ritrovamento catartico dell’animo, come rimemorazione del destino futuro. A lui dobbiamo la prima, chiara formulazione di una scienza nova che è per l’appunto classificabile come fenomenologia del sacro e come antropologia religiosa del rito sciamanico per eccellenza di derivazione anatolico, lo spiccamento del ramo d’oro nel sesto libro dell’Eneide.

Ma tutto questo forse che non cozzava con l’etica epicurea, stoica di cui tutti compreso Virgilio si dicevano discepoli? Un altro lungo viaggio ci attende, nelle scuole filosofiche ellenistiche in Campania e nell’opera questa volta davvero straordinaria di imperatori (quindi stiamo parlando della centralità stessa dell’impero) che fecero dell’ellenismo un modo di governare con saggezza e sapienza la dove ce ne fu la possibilità. Adriano, Antonino Pio ed infine Marco Aurelio, furono essi stessi facitori di ellenismo in un campo particolare, il governo dello stato.

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