Il palco è come un ponte che non unisce niente
ci passano i cantanti fischiati dalla gente
qualcuno un po’ più furbo fa battere le mani
o tira fuori il coro dei napoletani.
Gianfranco Manfredi
Lp “Zombie di tutto il mondo unitevi” (Ultima spiaggia), 1977
“Sembra ieri. Ricordo tutto benissimo. Sono stati giorni fantastici”. Giovanni Savino all’epoca aveva 19 anni. Era uno studente vicino a Lotta Continua. “Da Fuorigrotta – racconta – siamo partiti in quattro con una Fiat 126 blu, l’auto popolare che aveva sostituito la 500. Ricordo i tanti compagni autostoppisti che incontravamo lungo la strada. Ma la macchina era troppo piccola e noi troppo grossi per dare un passaggio. All’epoca ero troppo giovane per restare a dormire nel campeggio. Ma al Festival del Proletariato ci ritornai tutti i giorni.”.
Il discorso è complesso: da dove iniziare a parlare di Licola?
“Dalle discussioni affrontate che erano una novità. Per esempio, il rapporto tra musica e soldi. A Napoli c’erano molte novità nel campo musicale. Prendeva forza il movimento che fu denominato “neapolitan power”. Non era ancora esploso Pino Daniele ma c’erano Mario Musella, James Senese e tanti altri grandi. Era il periodo in cui si contestava in maniera forte il costo dei biglietti dei concerti. Soprattutto se poi i concerti erano tenuti da artisti che si richiamavano agli ideali di Sinistra. Si parlava di “autoriduzione” e ingresso gratuito. E di sicuro uno dei dibattiti di Licola fu sulla considerazione dell’arte e degli artisti. Ma quello che sconvolgeva un po’ tutti furono le discussioni sul rapporto tra giovani e droga”.
Perché la droga?
“Stiamo parlando di Napoli a metà degli anni ’70. Il contrabbando delle sigarette era all’ordine del giorno ma la città era già invasa dai cosiddetti acidi pesanti che, come l’eroina, sono droghe letali. Merce che proveniva dai nuovi mercati come l’Olanda. Noi giovani eravamo abituati a ragionare sulla cannabis e la consideravamo un modo per essere liberi senza riflettere sul fatto che lo spacciatore era parte del sistema criminale che volevamo distruggere. Tuttavia le organizzazioni di sinistra volevano tenere lontano il problema della droga dai loro dibattiti. C’era un generico divieto: dovevamo essere lucidi perché altrimenti si diventava schiavi del potere politico che voleva piegarci in questo modo. Era accaduto all’estero con tanti artisti che contestavano il sistema. Ma in realtà il fatto di non aver affrontato il problema, alla lunga, ha portato numerose persone a farne uso”.
Però non si parlò solo di droga. Gli altri temi?
“Beh, il femminismo. Se al nord questi temi erano assenti dall’agenda dei partiti, puoi immaginare che a Sud era invece un tabù. Però proprio a Napoli il movimento femminista dava segni di organizzazione e proprio a Licola iniziammo a parlarne. Sembra assurdo ma a Licola sono stati organizzati dei momenti di dibattito sul tema del femminismo e le donne si sono espresse per la prima volta liberamente in un contesto politico organizzato. Si sentivano parte di un percorso. Stavolta era diverso”.
Poi che è accaduto?
“Questi temi, almeno all’interno delle organizzazioni extraparlamentari, sono entrati e usciti senza lasciare forti segni. Questa è la mia lettura del processo che scaturì dopo Licola. È anche vero che eventi simili a quelli di Napoli ce ne sono stati, anche se meno intensi politicamente”.
Come hai vissuto quel periodo?
“Positivamente. Questi incontri servivano a vivere delle situazioni nuove, ci si contava e ci si confrontava. A Licola non c’era solo Lotta Continua ma anche altre organizzazioni e partiti. Era un inizio nuovo per noi meridionali che non avevamo mai vissuto eventi di questa portata. Forse in altri centri metropolitani, come Roma e Milano, si è potuto ragionare diversamente. Ma poi c’è stata anche la deflagrazione nel giro di pochi anni delle organizzazioni che avevano voluto il Festival. Sia chiaro che Licola fu un’occasione per comprendere degli errori ma non si riuscì a dare una risposta. Fu periodo comunque importante per noi, all’epoca giovani, ma anche per la politica italiana. Il ’68 era stato l’inizio, con gli anni ’70 abbiamo visto di più. Poi tutto finito. Almeno così fu al sud. Da Roma in giù, come sempre, è tutto più difficile, anche in politica”.
Cosa non funzionò?
“Tante cose. Da dire c’è che tutto quello che noi abbiamo vissuto era limitato all’interno del movimento. I nostri giornali, le nostre riviste, le discussioni nei circoli. Non molto è uscito fuori coinvolgendo la popolazione. In questo modo la fine di queste esperienze fu inevitabile”.
Leggi anche:
Festival di Licola del 1975. La Woodstock italiana che cambiò il modo di pensare del movimento studentesco (I parte)
Festival di Licola del 1975. Il direttore artistico Sergio Martin: “Fu un evento politico, di musica e di libertà assoluta” (II parte)
Chiunque voglia testimoniare o abbia foto del Festival può mettersi in contatto con redazione@quicampiflegrei.it